Il lavoro della mano, da “Oficio de paciencia” (1994), Eugénio De Andrade

Comincio a rendermi conto: la mano
che scrive i versi
è invecchiata. Ha cessato di amare la sabbia
delle dune, i pomeriggi di pioggia
sottile, la rugiada mattutina
dei cardi. Ora preferisce le sillabe
della sua angoscia.
Ha sempre lavorato più della sorella,
un po’ viziata, un po’
pigra, più bella.
A lei è toccato sempre
il compito più duro: seminare, raccogliere,
cucire, strofinare. Ma anche
accarezzare, certo. L’esigenza,
il rigore, hanno finito per stancarla.
La fine non puô tardare: speriamo
tenga conto della sua nobiltà.

(Traduzione di Emma Scoles)

Os trabalhos da mâo

Começo a dar-me conta: a mâo
que escreve os versos
envelheceu. Deixou de amar as areias
das dunas, as tardes de chuva
miúda, o orvalho matinal
dos cardos. Préfère agora as sílabas
da sua afliçào.
Sempre trabalhou mais que sua irmà,
um pouco mimada, um pouco
preguiçosa, mais bonita.
A si coube sempre
a tarefa mais dura: semear, colher,
coser, esfregar. Mas tamben
acariciar, é certo. A exigencia,
o rigor, acabaram por fatigá-la.
O fim nao pode tardar: oxalá
tenha em conta a sua nobreza.

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Maksim performing Beyond Rangoon live at Great Hall of the People, Beijing

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