Night Club, da “The Art of Drowning” Billy Collins

Sei così bella, e io sono uno stupido
a essere innamorato di te
è un motivo che continua a presentarsi
nelle canzoni e nelle poesie.
Non sembra esserci spazio per alcuna variazione.
Non ho mai sentito uno cantare
sono così bello
e tu sei una stupida ad esserti innamorata di me,
anche se quest’idea ha senza dubbio
attraversato in egual misura la mente di uomini e donne.
Sei così bella, peccato tu sia stupida
è un’altra che non si sente proprio.
Oppure, sei uno stupido a considerarmi bella.
Questa non la sentirete mai, sicuro.

Senza un motivo particolare questa sera
sto ascoltando Johnny Hartman
la cui voce scura può arrotolarsi attorno
ai concetti di amore, bellezza e stupidità
come quella di nessun altro.
Sembra fumo che si arrotola da una sigaretta
che qualcuno ha lasciato a bruciare su di un piano a mezza coda
più o meno alle tre di mattina;
fumo che ondeggia verso le luci intense
mentre lì, in mezzo al buio
alcune stupide bellezze si sono raccolte
attorno a piccoli tavoli per ascoltare,
un po’ con gli occhi chiusi,
altre protese avanti verso la musica
come se le sostenesse,
o mentre ruotano il ghiaccio che si scioglie nel bicchiere,
scivolando poco a poco in un sogno ritmato.

Sì, c’è tutta questa stupida bellezza,
fiorita dopo mezzanotte,
che non ha voglia di tornare a casa,
soprattutto ora che tutti nella stanza
stanno guardando l’uomo imponente con il sax tenore
che gli pende dal collo come un pesce d’oro.
E viene avanti, al bordo del proscenio
e si china a porgermi lo strumento
e con un cenno mi fa capire che tocca a me suonare.
Così porto alle labbra l’imboccatura
e ci soffio dentro con tutto il fiato che mi è dato.
Siamo tutti così stupidi,
inizia a dire il mio lungo assolo bebop,
ma così assurdamente stupidi
che siamo diventati belli senza neppure rendercene conto.

(Trad. di Piero Vereni)

Nightclub

You are so beautiful and I am a fool
to be in love with you
is a theme that keeps coming up
in songs and poems.Continua a leggere…

Sulla morte, senza esagerare, da “Gente sul ponte” (1986), Wislawa Szymborska

Non s’intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessitura, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.

Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.

Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
né scavare una fossa,
né mettere insieme una bara,
né rassettare il disordine che lascia.

Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo né abilità.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.

Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!

A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Più di un bruco
la batte in velocità.

Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo svogliato lavoro.

La cattiva volontà non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
è, almeno fin ora, insufficiente.

I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all’orizzonte.

Chi ne afferma l’onnipotenza
è lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non è.

Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.

La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.

Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

On Death, without Exaggeration

It can’t take a joke,
find a star, make a bridge.
It knows nothing about weaving, mining, farming,
building ships, or baking cakes.

In our planning for tomorrow,
it has the final word,
which is always beside the point.

It can’t even get the things done
that are part of its trade:
dig a grave,
make a coffin,
clean up after itself.

Preoccupied with killing,
it does the job awkwardly,
without system or skill.
As though each of us were its first kill.

Oh, it has its triumphs,
but look at its countless defeats,
missed blows,
and repeat attempts!

Sometimes it isn’t strong enough
to swat a fly from the air.
Many are the caterpillars
that have outcrawled it.

All those bulbs, pods,
tentacles, fins, tracheae,
nuptial plumage, and winter fur
show that it has fallen behind
with its halfhearted work.

Ill will won’t help
and even our lending a hand with wars and coups d’etat
is so far not enough.

Hearts beat inside eggs.
Babies’ skeletons grow.
Seeds, hard at work, sprout their first tiny pair of leaves
and sometimes even tall trees fall away.

Whoever claims that it’s omnipotent
is himself living proof
that it’s not.

There’s no life
that couldn’t be immortal
if only for a moment.

Death
always arrives by that very moment too late.

In vain it tugs at the knob
of the invisible door.
As far as you’ve come
can’t be undone.

(Translated from Polish by S. Baranczak & C. Cavanagh)

Una poesia è una città, Charles Bukowski

Una poesia è una città piena di strade e tombini
piena di santi, eroi, mendicanti, pazzi,
piena di banalità e di roba da bere,
piena di pioggia e di tuono e di periodi
di siccità, una poesia è una città in guerra,
una poesia è una città che chiede a una pendola perché,
una poesia è una città che brucia,
una poesia è una città sotto le cannonate
le sue sale da barbiere piene di cinici ubriaconi,
una poesia è una città dove Dio cavalca nudo
per le strade come Lady Godiva,
dove i cani latrano di notte, e fanno scappare
la bandiera; una poesia è una città di poeti,
per lo più similissimi tra loro
e invidiosi e pieni di rancore…
una poesia è questa città adesso,
50 miglia dal nulla,
le 9,09 del mattino,
il gusto del liquore e delle sigarette,
né poliziotti né innamorati che passeggiano per le strade,
questa poesia, questa città, che serra le sue porte,
barricata, quasi vuota,
luttuosa senza lacrime, invecchiata senza pietà,
i monti di roccia dura,
l’oceano come una fiamma di lavanda,
una luna priva di grandezza,
una musichetta di finestre rotte…

Una poesia è una città, una poesia è una nazione,
una poesia è il mondo…

e ora metto questo sotto vetro
perché lo veda il pazzo direttore,
e la notte è altrove
e signore grigiastre stanno in fila,
un cane segue l’altro fino all’estuario,
le trombe annunciano la forca
mentre piccoli uomini vaneggiano di cose
che non possono fare.

A poem is a city

a poem is a city filled with streets and sewers
filled with saints, heroes, beggars, madmen,
filled with banality and booze,
filled with rain and thunder and periods of
drought, a poem is a city at war,
a poem is a city asking a clock why,
a poem is a city burning,
a poem is a city under guns
its barbershops filled with cynical drunks,
a poem is a city where God rides naked
through the streets like Lady Godiva,
where dogs bark at night, and chase away
the flag; a poem is a city of poets,
most of them quite similar
and envious and bitter…
a poem is this city now,
50 miles from nowhere,
9:09 in the morning,
the taste of liquor and cigarettes,
no police, no lovers, walking the streets,
this poem, this city, closing its doors,
barricaded, almost empty,
mournful without tears, aging without pity,
the hardrock mountains,
the ocean like a lavender flame,
a moon destitute of greatness,
a small music from broken windows…

a poem is a city, a poem is a nation,
a poem is the world…

and now I stick this under glass
for the mad editor’s scrutiny,
the night is elsewhere

and faint gray ladies stand in line,
dog follows dog to estuary,
the trumpets bring on gallows
as small men rant at things
they cannot do.

All’autunno, John Keats

Stagione delle nebbie e della molle fecondità,
stretta amica del cuore del maturante sole;
che cospiri con lui per caricare e beare
di frutti le viti che intorno alle grondaie corrono;
per piegare sotto le mele i muscosi alberi della capanna,
ed empire tutti i frutti di maturità fino al torso,
per gonfiare la zucca, e arrotondare i gusci delle nocciuole
con un dolce nòcciolo; per far gemmare altri
e ancora altri, più tardivi fiori per le api,
finché esse pensino che i giorni tepidi non finiranno mai,
perché l’Estate ha colmate fino all’orlo le loro viscose celle.

Chi non t’ha veduto spesso fra la tua dovizia?
Talvolta chiunque vada fuori cercando può trovar
te a sedere senza pensieri su d’un’aia,
i tuoi capelli mollemente sollevati dal vaglio del vento;
o su un solco mietuto a mezzo profondamente addormentato,
assopito dai fumi dei papaveri, mentre il tuo falcetto
risparmia il prossimo mannello, e tutti i suoi fiori
e talvolta come uno spigolatore tu tieni intrecciati:
fermo il tuo capo carico attraversando un ruscello;
o presso un torchio da sidro, con sguardo paziente,
tu osservi gli ultimi trasudamenti per ore ed ore.

Dove sono i canti della Primavera? Sì, dove sono essi?
Non pensare ad essi; tu hai la tua musica pure,
mentre nuvole a sbarre fioriscono il giorno che lento muore,
e toccano i piani di stoppie con una rosea tinta;
allora in un lamentoso coro i moscerini gemono
tra i salici del fiume, portati in alto
o affondando, come il lieve vento vive o muore;
e adulti agnelli belano forte dal limite collinoso;
grilli di siepe cantano; ed ora con soave tenore
il pettirosso fischia dal recinto d’un giardino;
e le rondini si raccolgono trillando nei cieli.

(Trad. di  Raffaello Piccoli)

To Autumn

Season of mists and mellow fruitfulness,
Close bosom-friend of the maturing sun;
Conspiring with him how to load and bless
With fruit the vines that round the thatch-eves run;
To bend with apples the moss’d cottage-trees,
And fill all fruit with ripeness to the core;
To swell the gourd, and plump the hazel shells
With a sweet kernel; to set budding more,
And still more, later flowers for the bees,
Until they think warm days will never cease,
For summer has o’er-brimm’d their clammy cells.

Who hath not seen thee oft amid thy store?
Sometimes whoever seeks abroad may find
Thee sitting careless on a granary floor,
Thy hair soft-lifted by the winnowing wind;
Or on a half-reap’d furrow sound asleep,
Drows’d with the fume of poppies, while thy hook
Spares the next swath and all its twined flowers:
And sometimes like a gleaner thou dost keep
Steady thy laden head across a brook;
Or by a cyder-press, with patient look,
Thou watchest the last oozings hours by hours.

Where are the songs of spring? Ay, where are they?
Think not of them, thou hast thy music too, –
While barred clouds bloom the soft-dying day,
And touch the stubble-plains with rosy hue;
Then in a wailful choir the small gnats mourn
Among the river sallows, borne aloft
Or sinking as the light wind lives or dies;
And full-grown lambs loud bleat from hilly bourn;
Hedge-crickets sing; and now with treble soft
The red-breat whistles from a garden-croft;
And gathering swallows twitter in the skies.

Il desiderio di dipingere, da “Lo Spleen di Parigi”, Charles Baudelaire

Infelice forse l’uomo, ma felice l’artista che è dilaniato dal desiderio!
Io ardo dal desiderio di dipingere colei che mi è apparsa così raramente
e che così presto è fuggita come una cosa bella da rimpiangere
che nella notte il viaggiatore perde dietro di sè.

Quanto tempo è passato, ormai da quando è scomparsa!
È bella, e più che bella è sorprendente.
In lei abbonda il nero: e tutto ciò che ispira è notturno e profondo.
I suoi occhi sono due antri in cui lampeggia e vaga il mistero.

Il suo sguardo illumina come il lampo:
è una esplosione nelle tenebre.
Potrei paragonarla a un sole nero,
se si potesse concepire un astro buio che riversa la luce e felicità…

Ma ancora di più fa pensare alla luna,
che certo l’ha segnata con il suo temibile influsso.
Non la bianca luna degli idilli, che sembra una fredda sposa,
ma la luna sinistra e inebriante nel fondo di una notte,

tempestosa, sospinta dalle nuvole in corsa;
non la luna placida e discreta che visita il sonno dei puri,
ma la luna strappata dal cielo, vinta e ribelle,
che le Streghe della Tessaglia costringono senza pietà

a danzare sull’erba atterrita.
Nella sua piccola fronte abitano la volontà tenace e l’amore di preda.
E tuttavia, in fondo a questo viso inquietante,
splende con una grazia inesprimibile il riso di una grande bocca,

rossa e bianca, e deliziosa, che ci fa sognare il miracolo
di uno splendido fiore sbocciato in un terreno vulcanico.
Ci sono donne che ispirano la voglia di vincerle e di goderle.
Questa dà il desiderio di morire lentamente sotto il suo sguardo…

Le désir de peindre

Malheureux peut-être l’homme, mais heureux l’artiste que le désir déchire!

Je brûle de peindre celle qui m’est apparue si rarement et qui a fui si vite, comme une belle chose regrettable derrière le voyageur emporté dans la nuit. Comme il y a longtemps déjà qu’elle a disparu!

Elle est belle, et plus que belle; elle est surprenante. En elle le noir abonde: et tout ce qu’elle inspire est nocturne et profond. Ses yeux sont deux antres où scintille vaguement le mystère, et son regard illumine comme l’éclair: c’est une explosion dans les ténèbres.

Je la comparerais à un soleil noir, si l’on pouvait concevoir un astre noir versant la lumière et le bonheur. Mais elle fait plus volontiers penser à la lune, qui sans doute l’a marquée de sa redoutable influence; non pas la lune blanche des idylles, qui ressemble à une froide mariée, mais la lune sinistre et enivrante, suspendue au fond d’une nuit orageuse et bousculée par les nuées qui courent; non pas la lune paisible et discrète visitant le sommeil des hommes purs, mais la lune arrachée du ciel, vaincue et révoltée, que les Sorcières thessaliennes contraignent durement à danser sur l’herbe terrifiée!

Dans son petit front habitent la volonté tenace et l’amour de la proie. Cependant, au bas de ce visage inquiétant, où des narines mobiles aspirent l’inconnu et l’impossible, éclate, avec une grâce inexprimable, le rire d’une grande bouche, rouge et blanche, et délicieuse, qui fait rêver au miracle d’une superbe fleur éclose dans un terrain volcanique.

Il y a des femmes qui inspirent l’envie de les vaincre et de jouir d’elles; mais celle-ci donne le désir de mourir lentement sous son regard.

Tenendo le cose assieme, da “Sleeping with one eye open”, Mark Strand

In un campo
io sono l’assenza
di campo.
Questo è
sempre opportuno.
Dovunque sono
io sono ciò che manca.

Quando cammino
divido l’aria
e sempre
l’aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava.

Tutti abbiamo delle ragioni
per muoverci
io mi muovo
per tenere insieme le cose.

(Trad. di Damiano Abeni)

Keeping things whole

In a field
I am the absence
of field.
This is
always the case.
Wherever I am
I am what is missing.

When I walk
I part the air
and always
the air moves in
to fill the spaces
where my body’s been.

We all have reasons
for moving.
I move
to keep things whole.

Ascolta il passo breve delle cose, Alda Merini

Ascolta il passo breve delle cose
– assai più breve delle tue finestre –
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
E’ fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c’è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.

La città, Konstantinos Kavafis

Hai detto: “Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina”.

Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l’hai sciupata su tutta la terra.

The City

You said, “I will go to another place, to another shore.
Another city can be found that’s better than this.
All that I struggle for is doomed, condemned to failure;
and my heart is like a corpse interred.
How long will my mind stagger under this misery?
Wherever I turn, wherever I look
I see the blackened ruins of my life,
which for years on end I squandered and wrecked and ravaged”.

You will find no other place, no other shores.
This city will possess you, and you’ll wander the same
streets. In these same neighborhoods you’ll grow old;
in these same houses you’ll turn gray.
Always you’ll return to this city. Don’t even hope for another.
There’s no boat for you, there’s no other way out.
In the way you’ve destroyed your life here,
in this little corner, you’ve destroyed it everywhere else.

(Translated by Stratis Haviaras)

Farfalla d’autunno, Pablo Neruda

La farfalla svolazza
e arde con il sole a volte.

Macchia volante e fiammata,
ora resta ferma
su una foglia che la culla.

Mi dicevano: Non hai niente.
Non sei malato. Ti sembra.

Io neppure rispondevo.
E finì il tempo del raccolto.

Oggi una mano d’angoscia
colma d’autunno l’orizzonte.
E perfino dall’anima mi cadono foglie.

Mi dicevano: —Non hai niente.
Non sei malato. Ti sembra.

Era l’ora delle spighe.
Il sole, ora,
è convalescente.

Tutto se ne va nella vita, amici.
Se ne va o muore.

Se ne va la mano che t’induce.
Se ne va o muore.

Se ne va la rosa che sciogli.
Anche la bocca che ti bacia.

L’acqua, l’ombra e il bicchiere.
Se ne va o muore.

È passata l’ora delle spighe.
Il sole, ora, è convalescente.

La sua lingua tiepida mi circonda.
Mi dice anche: —Ti sembra.

La farfalla svolazza,
volteggia,
e sparisce

Traduzione di Chiara De Luca

Mariposa de otoño

La mariposa volotea
y arde —con el sol— a veces.

Mancha volante y llamarada,
ahora se queda parada
sobre una hoja que la mece.

Me decían: —No tienes nada.
No estás enfermo. Te parece.

Yo tampoco decía nada.
Y pasó el tiempo de las mieses.

Hoy una mano de congoja
llena de otoño el horizonte.
Y hasta de mi alma caen hojas.

Me decían: —No tienes nada.
No estás enfermo. Te parece.

Era la hora de las espigas.
El sol, ahora,
convalece.

Todo se va en la vida, amigos.
Se va o perece.

Se va la mano que te induce.
Se va o perece.

Se va la rosa que desates.
También la boca que te bese.

El agua, la sombra y el vaso.
Se va o perece.

Pasó la hora de las espigas.
El sol, ahora, convalece.

Su lengua tibia me rodea.
También me dice: —Te parece.

La mariposa volotea,
revolotea,
y desaparece.

Il tordo sbeffeggiatore, Charles Bukowski

il tordo sbeffeggiatore ha seguito il gatto
tutta estate
sbeffeggiando sbeffeggiando sbeffeggiando
facendogli il verso sicuro di sè;
il gatto si acquattava sotto le sedie a dondolo nei portici
coda imbizzarrita
e diceva qualcosa da incazzato al tordo sbeffeggiatore
che io non capivo.

ieri il gatto camminava tranquillo per il vialetto
con il tordo vivo in bocca,
ali piegate in giù, quelle bellissime ali piegate e
penzolanti,
piume aperte come le gambe di una donna,
e l’uccello non sbeffeggiava più,
chiedeva, supplicava
ma il gatto
che zampettava fiero attraverso i secoli
non lo ascoltava.

l’ho visto accovacciarsi sotto una macchina gialla
con l’uccello
per traghettarlo un un altro posto.

l’estate era finita.

The mockingbird

the mockingbird had been following the cat
all summer
mocking mocking mocking
teasing and cocksure;
the cat crawled under rockers on porches
tail flashing
and said something angry to the mockingbird
which I didn’t understand.

yesterday the cat walked calmly up the driveway
with the mockingbird alive in its mouth,
wings fanned, beautiful wings fanned and flopping,
feathers parted like a woman’s legs,
and the bird was no longer mocking,
it was asking, it was praying
but the cat
striding down through centuries
would not listen.

I saw it crawl under a yellow car
with the bird
to bargain it to another place.

summer was over.