Inno alla vita, Madre Teresa di Calcutta

La vita è un’opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne realtà.

La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.

La vita è ricchezza, valorizzala.
La vita è amore, vivilo.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.

La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un’avventura, rischiala.

La vita è la vita, difendila.

Life

Life is an opportunity, benefit from it.
Life is beauty, admire it.
Life is bliss, taste it.
Life is a dream, realize it.

Life is a challenge, meet it.
Life is a duty, complete it.
Life is a game, play it.
Life is costly, care for it.

Life is wealth, keep it.
Life is love, enjoy it.
Life is mystery, know it.
Life is a promise, fulfill it.

Life is sorrow, overcome it.
Life is a song, sing it.
Life is a struggle, accept it.

Life is tragedy, confront it.
Life is an adventure, dare it.
Life is luck, make it.
Life is too precious, do not destroy it.

Life is life, fight for it.

L’uomo e il mare, da “Les Fleurs du Mal”, Charles Baudelaire

Sempre amerai, uomo libero, il mare!
E’ il tuo specchio: contempli dalla sponda
in quel volgere infinito dell’onda
la tua anima, abisso anch’esso amaro.

T’immergi felice nella tua immagine,
la desideri, l’abbracci, e il tuo cuore
un poco si distrae dal suo rumore
con quel lamento ribelle, selvaggio.

Siete entrambi tenebrosi e discreti:
uomo, chi può esplorare i tuoi abissi,
mare, chi può sondare i tuoi possessi?
Siete gelosi dei vostri segreti.

E tuttavia da tempo immemorabile
vi combattete rischiando la sorte,
tanto vi esalta la strage e la morte:
nemici eterni, fratelli implacabili.

L’homme et la mer

Homme libre, toujours tu chériras la mer!
La mer est ton miroir; tu contemples ton âme
Dans le déroulement infini de sa lame,
Et ton esprit n’est pas un gouffre moins amer.

Tu te plais à plonger au sein de ton image;
Tu l’embrasses des yeux et des bras, et ton coeur
Se distrait quelquefois de sa propre rumeur
Au bruit de cette plainte indomptable et sauvage.

Vous êtes tous les deux ténébreux et discrets:
Homme, nul n’a sondé le fond de tes abîmes;
Ô mer, nul ne connaît tes richesses intimes,
Tant vous êtes jaloux de garder vos secrets!

Et cependant voilà des siècles innombrables
Que vous vous combattez sans pitié ni remord,
Tellement vous aimez le carnage et la mort,
Ô lutteurs éternels, ô frères implacables!

Quando saprete che sono morto, Jean Debruynne

“Quando saprete che sono morto
Sarà un giorno normale.
Forse fuori farà bello,
e i passeri non saranno muti.
Nulla sarà cambiato per davvero
i passanti saranno di passaggio,
il pane sarà buono
da mangiare
e il vino sarà versato in compagnia.
La strada si unirà all’altra strada,
gli affari andranno come al solito,
i giornali usciranno freschi di stampa
e la TV con i suoi sonniferi.
A causa dell’incidente nel métro,
prenderete le coincidenze
correndo presto lungo i corridori,
ciascuno sfrutterà la sua fortuna.
Per me lo spettacolo è finito,
la trama era scritta molto bene,
il paradiso molto ben fornito
di esclusi dal successo.
Per me uscirò di scena
passando dalla porta del giardino,
dal lato di Prevert e di rue Seine,
dal lato del poeta e del buffone.
Grazie degli applausi,
il ruolo mi stava a pennello,
me ne vado molto semplicemente,
per me sorge un giorno nuovo.
Crederete tutti che sono morto,
quando i miei vecchi polmoni esaleranno
l’ultimo soffio.
Ma vi dico: avete torto:
è dal legno morto che nasce la fiamma.
D’ora in poi non andate dunque
a cercarmi nel cimitero,
sono già passato avanti,
ho già superato la frontiera.
Il sole ha il suo bel cappello,
la pace ha messo il suo vestito buono,
la Giustizia ha cambiato pelle,
e Dio è qui nelle sue vigne.
Sono passato nel futuro
non restate nelle vostre tristezze,
prigionieri dei vostri ricordi,
sorridete piuttosto di tenerezza.
Se vi dicono che sono morto,
non credeteci proprio per niente:
cercate un vino dal sapore robusto
e lo verrò a bere con voi…”

Quand vous saurez que je suis mort

Quand vous saurez que je suis mort
Ce sera un jour ordinaire
Peut être il fera beau dehors
Les moineaux ne vont pas se taire

Rien ne sera vraiment changé
Les passants seront de passage
Le pain sera bon à manger
Le vin versé pour le partage

La rue ira dans l’autre rue
Les affaires iront aux affaires
Les journaux frais seront parus
Et la télé sous somnifères

Suite à l’incident du métro
Vous prendrez les correspondances
En courant les couloirs au trot
Chacun ira tenter sa chance

Pour moi le spectacle est fini
La pièce était fort bien écrite
Le paradis fort bien garni
Des exclus de la réussite

Pour moi je sortirai de scène
Passant par le côté jardin
Côté Prévert et rue de Seine
Côté poète et baladin

Merci des applaudissements
Mon rôle m’allait à merveille
Moi, je m’en vais, tout simplement
Un jour nouveau pour moi s’éveille

Vous croirez tous que je suis mort
Quand mes vieux poumons rendront l’âme
Moi je vous dis : vous avez tort
C’est du bois mort que naît la flamme

N’allez donc pas dorénavant
Me rechercher au cimetière
Je suis déjà passé devant
Je viens de passer la frontière

Le soleil a son beau chapeau
La Paix a mis sa belle robe
La Justice a changé de peau
Et Dieu est là dans ses vignobles

Je suis passé dans l’avenir
Ne restez pas dans vos tristesses
Enfermés dans vos souvenirs
Souriez plutôt de tendresse

Si l’on vous dit que je suis mort
Surtout n’allez donc pas le croire
Cherchez un vin qui ait du corps
Et avec vous j’irai le boire…

Non innamorarti di una donna che legge, Martha Rivera Garrido

Non innamorarti di una donna che legge,
di una donna che sente troppo,
di una donna che scrive…
Non innamorarti di una donna colta, maga, delirante, pazza.
Non innamorarti di una donna che pensa,
che sa di sapere e che inoltre è capace di volare,
di una donna che ha fede in se stessa.
Non innamorarti di una donna che ride
o piange mentre fa l’amore,
che sa trasformare il suo spirito in carne e, ancor di più,
di una donna che ama la poesia (sono loro le più pericolose),
o di una donna capace di restare mezz’ora davanti a un quadro o che non sa vivere senza la musica.
Non innamorarti di una donna intensa, ludica,
lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere,
che rimanga con te oppure no, che ti ami o no,
da una donna così, non si torna indietro.
Mai.

Tutto vale, tratto da “Song of Myself” (1892 version), Walt Whitman

Io credo che una foglia d’erba non valga affatto
meno della quotidiana fatica delle stelle.
E la formica è ugualmente perfetta, come un granello di sabbia,
come l’uovo di uno scricciolo,
E la piccola rana è un capolavoro pari a quelli più famosi,
E il rovo rampicante potrebbe ornare i balconi del cielo.
E la giuntura più piccola della mia mano qualsiasi meccanismo può deridere.

Section 31

I believe a leaf of grass is no less than the journey-work of the stars,
And the pismire is equally perfect, and a grain of sand, and the egg of the wren,
And the tree-toad is a chef-d’œuvre for the highest,
And the running blackberry would adorn the parlors of heaven,
And the narrowest hinge in my hand puts to scorn all machinery,
And the cow crunching with depress’d head surpasses any statue,
And a mouse is miracle enough to stagger sextillions of infidels.

I find I incorporate gneiss, coal, long-threaded moss, fruits, grains, esculent roots,
And am stucco’d with quadrupeds and birds all over,
And have distanced what is behind me for good reasons,
But call any thing back again when I desire it.

In vain the speeding or shyness,
In vain the plutonic rocks send their old heat against my approach,
In vain the mastodon retreats beneath its own powder’d bones,
In vain objects stand leagues off and assume manifold shapes,
In vain the ocean settling in hollows and the great monsters lying low,
In vain the buzzard houses herself with the sky,
In vain the snake slides through the creepers and logs,
In vain the elk takes to the inner passes of the woods,
In vain the razor-bill’d auk sails far north to Labrador,
I follow quickly, I ascend to the nest in the fissure of the cliff.

Invictus (non vinto), William Ernest Henley

Dal fondo della notte che sovrasta
Come l’Inferno, polo a polo, nera,
Ringrazio qualunque dio esista
per l’anima mia così fiera.

Nel crudo artiglio degli eventi
Non ho gridato mai nè sussultato.
Sotto i colpi di fortuiti accadimenti
Il capo è ferito e non piegato.

Oltre ‘sto sito di pianto e grida
Incombe delle tenebre l’Orrore.
Eppure negli anni ogni sfida
Mi trova, e troverà, senza timore.

Per quanto angusto sia il cammino,
Per quante pene il cartiglio abbia severe,
Sono maestro del mio destino:
E della mia anima il nocchiere.

Invictus

Out of the night that covers me,
Black as the Pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds, and shall find, me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll.
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

Il sorriso (The Smile), William Blake

C’è un Sorriso d’Amore,
E c’è un Sorriso d’Inganno,
E c’è un Sorriso dei Sorrisi
In cui questi due Sorrisi si incontrano.

E c’è uno Sguardo d’Odio,
E c’è uno Sguardo di Disprezzo,
E c’è uno Sguardo degli Sguardi
Che tentate di scordare invano;

Perché si pianta nel profondo del Cuore,
E si pianta nel profondo della Schiena
E nessun Sorriso che mai fu sorriso,
Ma un solo Sorriso soltanto,

Che fra la Culla & la Tomba
Si può Sorridere soltanto una volta;
Ma, quando è Sorriso una volta,
C’è una fine a tutta l’Angoscia.

The Smile

There is a Smile of Love
And there is a Smile of Deceit
And there is a Smile of Smiles
In which these two Smiles meet

And there is a Frown of Hate
And there is a Frown of disdain
And there is a Frown of Frowns
Which you strive to forget in vain

For it sticks in the Hearts deep Core
And it sticks in the deep Back bone
And no Smile that ever was smild
But only one Smile alone

That betwixt the Cradle & Grave
It only once Smild can be
But when it once is Smild
Theres an end to all Misery

29 febbraio 2016
Standing Ovation per Leonardo DiCaprio salutato da tutti i suoi colleghi al Dolby Theatre di Los Angeles. Dopo cinque nomination senza alcun riconoscimento, Il 41enne attore ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione in “The Revenant – Redivivo” .

Tabaccheria, Fernando Pessoa

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.
Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.
Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell’avvio.
Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall’altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.
Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente.
Dall’insegnamento che mi hanno impartito,
sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
e quando c’era, la gente era uguale all’altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!
E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
e la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno,
non ci sarà altro che letame di tante conquiste future.
No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano?
No, neppure in me…
in quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a quest’ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -,
sì, veramente alte, nobili e lucide -,
e forse realizzabili,
non verranno mai alla luce del sole reale né troveranno ascolto?
Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.
Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, né in niente.
Che la Natura sparga sulla mia testa scottante
il suo sole, la sua pioggia, il vento che trova i miei capelli,
e il resto venga pure se verrà o dovrà venire, altrimenti non venga.
Schiavi cardiaci delle stelle,
abbiamo conquistato tutto il mondo prima di alzarci dal letto;
ma ci siamo svegliati ed esso è opaco,
ci siamo alzati ed esso è estraneo,
siamo usciti di casa ed esso è la terra intera,
più il sistema solare, la Via Lattea e l’Indefinito.
(Mangia cioccolatini, piccina; mangia cioccolatini!
Guarda che non c’è al mondo altra metafisica che i cioccolatini.
Guarda che tutte le religioni non insegnano altro che la pasticceria.
Mangia, bambina sporca, mangia!
Potessi io mangiare cioccolatini con la stessa concretezza con cui li mangi tu!
Ma io penso e, togliendo la carta argentata, che poi è di stagnola,
butto tutto per terra, come ho buttato la vita.
Ma almeno rimane dell’amarezza di ciò che mai sarà
la calligrafia rapida di questi versi,
portico crollato sull’Impossibile.
Ma almeno consacro a me stesso un disprezzo privo di lacrime,
nobile almeno nell’ampio gesto con cui scaravento
i panni sporchi che io sono, senza lista, nel corso delle cose,
e resto in casa senza camicia.
(Tu, che consoli, che non esisti e perciò consoli,
Dea greca, concepita come una statua viva,
o patrizia romana, impossibilmente nobile e nefasta,
o principessa di trovatori, gentilissima e colorita,
o marchesa del Settecento, scollata e distante,
o celebre cocotte dell’epoca dei nostri padri,
o non so che di moderno – non capisco bene cosa -,
tutto questo, qualsiasi cosa tu sia, se può ispirare che ispiri!
Il mio cuore è un secchio svuotato.
Come quelli che invocano spiriti invoco
me stesso ma non trovo niente.
Mi avvicino alla finestra e vedo la strada con assoluta nitidezza.
Vedo le botteghe, vedo i marciapiedi, vedo le vetture passare,
vedo gli esseri vivi vestiti che s’incrociano,
vedo i cani che anche loro esistono,
e tutto questo mi pesa come una condanna all’esilio,
e tutto questo è straniero, come ogni cosa.
Ho vissuto, studiato, amato, e persino creduto,
e oggi non c’è mendicante che io non invidi solo perché non è me.
Di ciascuno guardo i cenci e le piaghe e la menzogna,
e penso: magari non ho mai vissuto, nè studiato, nè amato, nè creduto
(perché si può creare la realtà di tutto questo senza fare nulla di tutto questo);
magari sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda
e che è irrequietamente coda al di qua della lucertola.
Ho fatto di me ciò che non ho saputo,
e ciò che avrei potuto fare di me non l’ho fatto.
Il domino che ho indossato era sbagliato.
Mi hanno riconosciuto subito per quello che non ero e non ho smentito, e mi sono perso.
Quando ho voluto togliermi la maschera,
era incollata alla faccia.
Quando l’ho tolta e mi sono guardato allo specchio,
ero già invecchiato.
Ero ubriaco, non sapevo più indossare il domino che non mi ero tolto.
Ho gettato la maschera e dormito nel guardaroba
come un cane tollerato dall’amministrazione
perché inoffensivo
e scrivo questa storia per dimostrare di essere sublime.
Essenza musicale dei miei versi inutili,
magari potessi incontrarmi come una cosa fatta da me,
e non stessi sempre di fronte alla Tabaccheria qui di fronte,
calpestando la coscienza di esistere,
come un tappeto in cui un ubriaco inciampa
o uno stoino rubato dagli zingari che non valeva niente.
Ma il padrone della Tabaccheria s’è affacciato sulla porta e vi è rimasto.
Lo guardo con il fastidio della testa piegata male e con il disagio dell’anima che sta intuendo.
Lui morirà ed io morirò.
Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi.
A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi.
Dopo un po’ morirà la strada dove fu stata l’insegna,
e la lingua in cui furono scritti i versi.
Morirà poi il pianeta che gira in cui tutto ciò accadde.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente
continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne,
sempre una cosa di fronte all’altra,
sempre una cosa inutile quanto l’altra,
sempre l’impossibile, stupido come il reale,
sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie,
sempre questo o sempre qualche altra cosa o nè una cosa né l’altra.
Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con l’intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell’essere indisposti.
Poi mi allungo sulla sedia
e continuo a fumare.
Finché il Destino me lo concederà, continuerò a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaia
magari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia.
Vado alla finestra.
L’uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica.
(Il padrone della Tabaccheria s’è affacciato all’entrata.)
Come per un istinto divino Esteves s’è voltato e mi ha visto.
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l’universo
mi si è ricostruito senza ideale ne speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.

Per essere albero, Guatan Tavara

Per essere albero
devi imparare, almeno una volta,
a essere ombra.
Per essere albero
devi avere la vita che ti scorre dentro,
confonderti tra i colori di mondi che vivono altrove,
Per essere albero
devi saper essere foglia e radice
sfidare il vento, nasconderti dentro la terra.
Saper crescere attorno ai cerchi concentrici della memoria,
come il segno di tempi che si rincorrono lungo la vita.
Per essere albero,
per essere davvero albero,
devi saperti protendere al cielo,
saper parlare da solo alla luna,
saperti guardare nel riflesso di un fiordo,
seguire lo scorrere della vita a fianco del fiume.
Come una sequenza ininterrotta di storie da raccontare

guatantavara

Gabbiani, da “Poesie” (1942), Vincenzo Cardarelli

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

Seagulls

I know not where seagulls make their nest
where find they peace.
I am like them
in perpetual flight.
I skim life
like they do with the water catching food.
And perhaps like them too, I cherish quietness,
the great quietness of the sea,
but my fate is to live
wavering in the gale.

Translated in English by Literary Joint