Venezia, Anna Achmatova

Colombaia dorata sull’acqua,
tenera e verde struggente,
e una brezza marina che spazza
la scia sottile delle barche nere.

Che dolci, strani volti tra la folla,
nelle botteghe lucenti balocchi:
un leone col libro su un cuscino a ricami,
un leone col libro su una colonna di marmo.

Come su di un’antica tela scolorita,
il cielo azzurro fioco si rapprende…
ma non si è stretti in quest’angustia,
e non opprimono l’umido e l’afa.

Венеция

Золотая голубятня у воды,
Ласковой и млеюще-зеленой;2
Заметает ветерок соленый
Черных лодок узкие следы.

Сколько нежных, странных лиц в толпе.
В каждой лавке яркие игрушки:
С книгой лев на вышитой подушке,
С книгой лев на мраморном столбе.

Как на древнем, выцветшем холсте,
Стынет небо тускло-голубое…
Но не тесно в этой тесноте
И не душно в сырости и зное.

Август 1912

Venice

Gold dovecote by waters,
Tender and dazzlingly green;
A salt-breeze sweeps away
The gondola’s narrow wake.

Such sensitive, strange eyes in the streets,
The bright toys in the shops:
A lion with a book, on a lace pillow,
A lion with a book, on a marble pillar.

As in an ancient, faded canvas,
The sky is a cool, dull blue…
But one’s not crushed in the crowd,
Nor stifled in this damp heat.

(Translated by A. S. Kline)

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Dev’esserci…, da “José Saramago, Le poesie” (2002), José Saramago

Ci dev’essere un colore da scoprire,
un’unione nascosta di parole,
ci dev’essere una chiave per aprire
la porta di questo muro smisurato.

Ci dev’essere un’isola più a sud,
una corda più tesa e risonante,
un altro mare che nuoti un altro azzurro,
un altro tono di voce per cantare.

Poesia tardiva che non riesci a dire
neppure la metà di quel che sai:
non taci quando puoi e non rinneghi
questo corpo casuale in cui non trovi posto.

(Traduzione di Fernanda Toriello)

Há-de haver

Há-de haver uma cor por descobrir,
Um juntar de palavras escondido,
Há de haver uma chave para abrir
A porta deste muro desmedido.

Há-de haver uma ilha mais ao sul,
Uma corda mais tensa e ressoante,
Outro mar que nade noutro azul,
Outra altura de voz que melhor cante.

Poesia tardia que não chegas
A dizer nem metade do que saber:
Não calas, quando podes, nem renegas
Este corpo de acaso em que não cabes.

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Dimash Kudaibergen – S.O.S d’un terrien en détresse / Live dans Les Années Bonheur

Dimash Kudaibergen è un cantante kazako, cantautore e polistrumentista nato ad Aktobe il 24 Maggio 1994. Ha effettuato studi universitari sia in musica classica sia in musica contemporanea; dotato di orecchio assoluto, si distingue per la precisione nell’attacco delle note, la flessibilità nella dinamica e per il suo registro musicale che si estende per sei ottave e cinque semitoni.
Sebbene gli fosse stata offerta una posizione all’Opera di Astana ha preferito una carriera nel panorama musicale contemporaneo, incorporando elementi di musica classica, musica tradizionale kazaka e musica pop.
La definitiva esplosione a livello internazionale la si deve soprattutto alla fortunata partecipazione come ospite straniero al concorso televisivo cinese The Singer 2017, mostrando al mondo intero le sue immense capacità, che saranno definite in seguito dagli esperti stile Crossover (Alien), fin dalla prima puntata dando una nuova vita alla storica canzone francese di Daniel Balavoine “S.O.S. d’un terrien en détresse” definita dai critici una tra le 5 canzoni più difficili al mondo.

(dal sito Dimash Italia)

Canzone sulla fine del mondo, da “Czesław Miłosz Poesie” (1983), Czesław Miłosz

Il giorno della fine del mondo
L’ape gira sul fiore del nasturzio,
il pescatore ripara la rete luccicante.
Nel mare saltano allegri delfini,
Giovani passeri si appoggiano alle grondaie
E il serpente ha la pelle dorata che ci si aspetta.

Il giorno della fine del mondo
Le donne vanno per i campi sotto l’ombrello,
L’ubriaco si addormenta sul ciglio dell’aiuola,
I fruttivendoli gridano in strada
E la barca dalla vela gialla si accosta all’isola,
Il suono del violino si prolunga nell’aria
E disserra la notte stellata.

E chi si aspettava folgori e lampi,
Rimane deluso.
E chi si aspettava segni e trombe di arcangeli,
Non crede che già stia avvenendo.
Finché il sole e la luna sono su in alto,
Finché il calabrone visita la rosa,
Finché nascono rosei bambini,
Nessuno crede che già stia avvenendo.

Solo un vecchietto canuto, che sarebbe un profeta,
Ma profeta non è, perché ha altro da fare,
Dice legando i pomodori:
Non ci sarà altra fine del mondo,
Non ci sarà altra fine del mondo.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Piosenka o końcu świata

W dzień końca świata
Pszczoła krąży nad kwiatem nasturcji,
Rybak naprawia błyszczącą sieć.
Skaczą w morzu wesołe delfiny,
Młode wróble czepiają się rynny
I wąż ma złotą skórę, jak powinien mieć.

W dzień końca świata
Kobiety idą polem pod parasolkami,
Pijak zasypia na brzegu trawnika,
Nawołują na ulicy sprzedawcy warzywa
I łódka z żółtym żaglem do wyspy podpływa,
Dźwięk skrzypiec w powietrzu trwa
I noc gwiaździstą odmyka.

A którzy czekali błyskawic i gromów,
Są zawiedzeni.
A którzy czekali znaków i archanielskich trąb,
Nie wierzą, że staje się już.
Dopóki słońce i księżyc są w górze,
Dopóki trzmiel nawiedza różę,
Dopóki dzieci różowe się rodzą,
Nikt nie wierzy, że staje się już.

Tylko siwy staruszek, który byłby prorokiem,
Ale nie jest prorokiem, bo ma inne zajęcie,
Powiada przewiązując pomidory:
Innego końca świata nie będzie,
Innego końca świata nie będzie.

A Song on the End of the World

On the day the world ends
A bee circles a clover,
A fisherman mends a glimmering net.
Happy porpoises jump in the sea,
By the rainspout young sparrows are playing
And the snake is gold-skinned as it should always be.

On the day the world ends
Women walk through the fields under their umbrellas,
A drunkard grows sleepy at the edge of a lawn,
Vegetable peddlers shout in the street
And a yellow-sailed boat comes nearer the island,
The voice of a violin lasts in the air
And leads into a starry night.

And those who expected lightning and thunder
Are disappointed.
And those who expected signs and archangels’ trumps
Do not believe it is happening now.
As long as the sun and the moon are above,
As long as the bumblebee visits a rose,
As long as rosy infants are born
No one believes it is happening now.

Only a white-haired old man, who would be a prophet
Yet is not a prophet, for he’s much too busy,
Repeats while he binds his tomatoes:
There will be no other end of the world,
There will be no other end of the world.

Warsaw, 1944

(Translated by Anthony Miłosz)

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Aria sulla Quarta Corda, J S. Bach – Anastasiya Petryshak, Violino – Milano, Basilica di Sant’Ambrogio – 18 dicembre 2015

Scorcio di secolo, da “Gente sul ponte”(1986), Wislawa Szymborska

Doveva essere migliore degli altri il nostro ventesimo secolo.
Non farà più in tempo a dimostrarlo,
ha gli anni contati,
il passo malfermo,
il fiato corto.

Sono ormai successe troppe cose
che non dovevano succedere,
e quel che doveva arrivare
non è arrivato.

Ci si doveva avviare verso la primavera
e la felicità, tra l’altro.

La paura doveva abbandonare i monti e le valli.
La verità doveva raggiungere la meta
prima della menzogna.

Alcune sciagure
non dovevano più accadere,
ad esempio la guerra
e la fame, e così via.

Doveva essere rispettata
l’inermità degli inermi,
la fiducia e via dicendo.

Chi voleva gioire del mondo
si trova di fronte a un’impresa
impossibile.

La stupidità non è ridicola.
La saggezza non è allegra.
La speranza
non è più quella giovane ragazza
et cetera, purtroppo.

Dio doveva finalmente credere nell’uomo
buono e forte,
ma il buono e il forte
restano due esseri distinti.

Come vivere? – mi ha scritto qualcuno
a cui io intendevo fare
la stessa domanda.

Da capo, e allo stesso modo di sempre,
come si è visto sopra,
non ci sono domande più pressanti
delle domande ingenue.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

The Century’s Decline

Our twentieth century was going to improve on the others.
It will never prove it now,
now that its years are numbered,
its gait is shaky,
its breath is short.

Too many things have happened
that weren’t supposed to happen,
and what was supposed to come about
has not.

Happiness and spring, among other things,
were supposed to be getting closer.

Fear was expected to leave the mountains and the valleys.
Truth was supposed to hit home
before a lie.

A couple of problems weren’t going
to come up anymore:
humger, for example,
and war, and so forth.

There was going to be respect
for helpless people’s helplessness,
trust, that kind of stuff.

Anyone who planned to enjoy the world
is now faced
with a hopeless task.

Stupidity isn’t funny.
Wisdom isn’t gay.

Hope
isn’t that young girl anymore,
et cetera, alas.

God was finally going to believe
in a man both good and strong,
but good and strong
are still two different men.

“How should we live?” someone asked me in a letter.
I had meant to ask him
the same question.

Again, and as ever,
as may be seen above,
the most pressing questions
are naïve ones.

(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)