Mi chiedo che n’è stato di tutte quelle alte astrazioni
che posavano, agghindate e statuarie, nei dipinti
e sfilavano in parata nelle pagine del Rinascimento
sfoggiando le loro lettere maiuscole come targhe d’automobili.
Verità che andava al piccolo galoppo su un potente cavallo,
Castità, con lo sguardo abbassato, che armeggiava con i veli.
Ciascuna era un marmo messo in vita, un pensiero in un cappotto,
Cortesia che si inchinava con una mano sempre protesa,
Malvagità che affilava uno strumento dietro un muro,
Ragione con la corona e Coerenza vigile dietro al timone.
Sono tutte in pensione ora, relegate in una Florida per tropi.
Giustizia è là, in piedi accanto a un frigo aperto.
Coraggio è sdraiato a letto ad ascoltare la pioggia.
Anche Morte non ha niente da fare, solo rammendare mantello e cappuccio,
e tutti i loro oggetti di scena sono chiusi a chiave in un magazzino,
clessidre, globi, bende e ceppi.
Anche se tu le richiamassi in servizio, non avrebbero più un posto
dove andare, né Giardini della Gioia, né Pergolati della Felicità,
la Valle del Perdono è solcata da condomini,
e le motoseghe ululano nella Selva della Disperazione.
Qui, sul tavolo, vicino alla finestra c’è un vaso di peonie
e accanto un binocolo nero e un fermaglio per i soldi,
proprio il tipo di cose che oggi preferiamo,
oggetti che si dispongono quieti su un verso con lettere minuscole,
proprio loro e nient’altro, una carriola,
una cassetta postale vuota, una lametta lasciata in un portacenere di vetro.
Quanto alle altre, le grandi idee a cavallo
e le virtù dai lunghi capelli in vesti ricamate,
sembra che abbiano perso la strada
che vedi nell’ultima pagina dei libri di storie,
quella che sale su per la collina verde e scompare
in una valle invisibile dove tutti devono essere immersi nel sonno.
(Traduzione di Franco Nasi)
“La morte di allegoria” è una poesia riflessiva e ironica che si concentra sullo stile allegorico del Rinascimento, presente in dipinti e testi, dove persone, oggetti e cose sono simboli e portano un significato figurativo. È anche una poesia di riflessione sul cambiamento e la moda nelle arti e nella società: com’è tipico di Billy Collins, contiene arguzia, fascino e intelligenza giocosa, insieme a immagini vivide e umorismo.
The Death of Allegory
I am wondering what became of all those tall abstractions
that used to pose, robed and statuesque, in paintings
and parade about on the pages of the Renaissance
displaying their capital letters like license plates.
Truth cantering on a powerful horse,
Chastity, eyes downcast, fluttering with veils.
Each one was marble come to life, a thought in a coat,
Courtesy bowing with one hand always extended,
Villainy sharpening an instrument behind a wall,
Reason with her crown and Constancy alert behind a helm.
They are all retired now, consigned to a Florida for tropes.
Justice is there standing by an open refrigerator.
Valor lies in bed listening to the rain.
Even Death has nothing to do but mend his cloak and hood,
and all their props are locked away in a warehouse,
hourglasses, globes, blindfolds and shackles.
Even if you called them back, there are no places left
for them to go, no Garden of Mirth or Bower of Bliss.
The Valley of Forgiveness is lined with condominiums
and chain saws are howling in the Forest of Despair.
Here on the table near the window is a vase of peonies
and next to it black binoculars and a money clip,
exactly the kind of thing we now prefer,
objects that sit quietly on a line in lower case,
themselves and nothing more, a wheelbarrow,
an empty mailbox, a razor blade resting in a glass ashtray.
As for the others, the great ideas on horseback
and the long-haired virtues in embroidered gowns,
it looks as though they have traveled down
that road you see on the final page of storybooks,
the one that winds up a green hillside and disappears
into an unseen valley where everyone must be fast asleep.
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