Fuoco e ghiaccio, da “Conoscenza della notte e altre poesie” (1965), Robert Frost

Dicono alcuni che finirà nel fuoco
Il mondo; altri, nel ghiaccio.
Del desiderio ho gustato quel poco
Che mi fa scegliere il fuoco.
Ma se dovesse due volte finire,
So pure che cosa è odiare,
E per la distruzione posso dire
Che anche il ghiaccio è terribile
E può bastare.

(Traduzione di Giovanni Giudici)

Fire and Ice

Some say the world will end in fire,
Some say in ice.
From what I’ve tasted of desire
I hold with those who favor fire.
But if it had to perish twice,
I think I know enough of hate
To know that for destruction ice
Is also great
And would suffice.

Mattino, da “A vela in solitaria intorno alla stanza” (2013), Billy Collins

Perché darsi pena per il resto della giornata,
la valle del pomeriggio,
il precipizio improvviso nella sera,

poi la notte con i soliti profumi,
e le stelle a più punte?

Questo è il massimo:
togliersi di dosso le coperte leggere,
i piedi sul pavimento freddo,
e sfrecciare per casa ebbri di caffè –

magari una sciacquata alla faccia,
una manciata di vitamine –
ma soprattutto sfrecciare per la casa ebbri di caffè,

dizionario e atlante aperti sul tappeto,
la macchina da scrivere in attesa della chiave per la testa,
un violoncello alla radio,

e, se necessario, le finestre:
con gli alberi di cinquanta, cent’anni
là fuori,
nubi cariche in arrivo
e il prato che trasuda vapore come un cavallo
di prima mattina.

(Traduzione di Franco Nasi)

Morning

Why do we bother with the rest of the day,
the swale of the afternoon,
the sudden dip into evening,

then night with his notorious perfumes,
his many-pointed stars?

This is the best—
throwing off the light covers,
feet on the cold floor,
and buzzing around the house on espresso—

maybe a splash of water on the face,
a palmful of vitamins—
but mostly buzzing around the house on espresso,

dictionary and atlas open on the rug,
the typewriter waiting for the key of the head,
a cello on the radio,

and, if necessary, the windows—
trees fifty, a hundred years old
out there,
heavy clouds on the way
and the lawn steaming like a horse
in the early morning.

Billy Collins, “Morning” from Picnic, Lightning (1998) 

Il fiore che sei, non quello che dài, voglio, Fernando Pessoa

Il fiore che sei, non quello che dài, voglio.
Perchè mi neghi quel che non ti chiedo?
C’è tempo per negare
dopo che avrai dato.
Fiore, siimi fiore! Se ti coglie avaro
la mano di infausta sfinge, tu perenne
ombra errerai assurda,
cercando quel che non desti.

(Da “Poesie scelte” Fernando Pessoa – Passigli Editori – Traduzione Luigi Panarese)

A flor que és, não a que dás, eu quero

A flor que és, não a que dás, eu quero.
Porque me negas o que te não peço?
Tempo há para negares
Depois de teres dado.
Flor, sê-me flor! Se te colher avaro
A mão da infausta esfinge, tu perene
Sombra errarás absurda,
Buscando o que não deste.

Una volta ti dissi, da “Vuoto d’amore” (1982), Alda Merini

Una volta ti dissi:
non arrabbiarti, amore,
s’io sono diversa.
Forse sono una colonna di fumo,
ma la legna che sotto di me arde
è la legna dorata dei boschi,
e tu non hai voluto ascoltarmi.
Guardavi la mia pelle candida
con l’incredulità di un sacerdote,
e volevi affondarvi il coltello
e così la tua vittima è morta
sotto il peso della tua stoltezza,
o malaccorto amore.

Prendevo in giro l’ebrietà della forma
e sapevo che ero di lutto,
eppure il lutto mi doleva dentro
con la dolcezza di uno sparviero.
Quante volte fui scoperta e mangiata,
quante volte servii di pasto agli empi;
e anche tu adesso sei empio,
o mio corollario di amore.
Dov’è la tua religione
per la mia povera croce?

Dormire, da “Blu oltremare” (1986), Raymond Carver

Ha dormito sulle proprie mani.
Su una pietra.
In piedi.
Sui piedi di qualcun altro.
Ha dormito su autobus, treni, aerei.
Ha dormito sul lavoro.
Ha dormito per la strada.
Ha dormito su un sacco pieno di mele.
Ha dormito in una latrina a pagamento.
In un fienile.
Nel Super Dome.
Ha dormito in una Jaguar e sul retro d’un furgoncino.
Ha dormito a teatro.
In galera.
In barca.
Ha dormito in casotti ferroviari e, una volta, in un castello.
Ha dormito sotto la pioggia.
Sotto il sole rovente, ha dormito.
A cavallo.
Ha dormito su sedie, banchi di chiesa e alberghi alla moda.
Ha dormito sotto strani tetti tutta la vita.
E adesso dorme sottoterra.
Dorme, dorme e non si sveglia mai.
Come un vecchio re.

(Traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante)

Sleeping

He slept on his hands.
On a rock.
On his feet.
On someone else’s feet.
He slept on buses, trains, in airplanes.
Slept on duty.
Slept beside the road.
Slept on a sack of apples.
He slept in a pay toilet.
In a hayloft.
In the Super Dome.
Slept in a Jaguar, and in the back of a pickup.
Slept in theaters.
In jail.
On boats.
He slept in line shacks and, once, in a castle.
Slept in the rain.
In blistering sun he slept.
On horseback.
He slept in chairs, churches, in fancy hotels.
He slept under strange roofs all his life.
Now he sleeps under the earth.
Sleeps on and on.
Like an old king.

Litania, Billy Collins

Tu sei il pane e il coltello,
il calice di cristallo e il vino…
—Jacques Crickillon

Tu sei il pane e il coltello,
il calice di cristallo e il vino.
Tu sei la rugiada sull’erba del mattino,
la ruota di fuoco del sole.
Tu sei il grembiule del fornaio
e gli uccelli delle paludi subito in volo.

Non sei tuttavia il vento nell’orto,
le prugne alla cassa,
o il castello di carte.
E di sicuro neanche il profumo di pino nell’aria.
Non c’è verso tu sia il profumo di pino nell’aria.

E’ possibile invece tu sia il pesce sotto al ponte,
finanche il piccione sul capo del generale,
ma non sei per niente vicino ad essere
il campo di fiordalisi all’imbrunire.

E un’occhiata rapida allo specchio ti dirà
che non sei neanche gli stivali in quell’angolo
né la barca che dorme nella rimessa.

Ti interesserà forse sapere,
a proposito della ricchezza del linguaggio figurato,
che io sono il suono della pioggia sui tetti.

Sono, per caso, anche una stella cadente,
il giornale della sera portato dal vento in una stradina
e la cesta di castagne sul tavolo della cucina.

Sono anche la luna tra gli alberi
e la tazza di tè di una donna cieca.
Ma non ti preoccupare, non sono io il pane e il coltello.

Tu sei il pane e il coltello.
E sempre sarai il pane e il coltello,
per non dire il calice di cristallo e, non so come, il vino.

Traduzione Abele Longo, 2009

Litany

You are the bread and the knife,
The crystal goblet and the wine…
-Jacques Crickillon

You are the bread and the knife,
the crystal goblet and the wine.
You are the dew on the morning grass
and the burning wheel of the sun.
You are the white apron of the baker,
and the marsh birds suddenly in flight.

However, you are not the wind in the orchard,
the plums on the counter,
or the house of cards.
And you are certainly not the pine-scented air.
There is just no way that you are the pine-scented air.

It is possible that you are the fish under the bridge,
maybe even the pigeon on the general’s head,
but you are not even close
to being the field of cornflowers at dusk.

And a quick look in the mirror will show
that you are neither the boots in the corner
nor the boat asleep in its boathouse.

It might interest you to know,
speaking of the plentiful imagery of the world,
that I am the sound of rain on the roof.

I also happen to be the shooting star,
the evening paper blowing down an alley
and the basket of chestnuts on the kitchen table.

I am also the moon in the trees
and the blind woman’s tea cup.
But don’t worry, I’m not the bread and the knife.
You are still the bread and the knife.
You will always be the bread and the knife,
not to mention the crystal goblet and–somehow–the wine.

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“Litany” recitata da un bambino di 3 anni (2010)

La natura – è la madre più gentile, Emily Dickinson

La natura – è la madre più gentile,
impaziente con nessun bambino –
il più debole – o il più indocile –
la sua ammonizione pacata –

nella foresta – e sulla collina –
è udita – dal viandante –
mentre richiama uno scoiattolo spericolato –
o un uccello troppo impetuoso –

Com’è soave la sua conversazione –
nei pomeriggi d’estate –
la sua casa – la sua famiglia –
e quando il sole va giù –

la sua voce fra le navate
incita la preghiera timida
del grillo più minuto –
il più indegno fiore –

Quando tutti i bambini dormono –
si allontana quanto basta
per accendere le sue lampade –
poi affacciandosi dal cielo –

con infinito affetto –
e cura più infinita –
portando un dito d’oro alle labbra
impone silenzio – dappertutto –

(Traduzione di Massimo Bacigalupo)

Nature – the Gentlest Mother is

Nature – the Gentlest Mother is,
Impatient of no Child –
The feeblest – or the waywardest –
Her Admonition mild –

In Forest – and the Hill –
By Traveller – be heard –
Restraining Rampant Squirrel –
Or too impetuous Bird –

How fair Her Conversation –
A Summer Afternoon –
Her Household – Her Assembly –
And when the Sun go down –

Her Voice among the Aisles
Incite the timid prayer
Of the minutest Cricket –
The most unworthy Flower –

When all the Children sleep –
She turns as long away
As will suffice to light Her lamps –
Then bending from the Sky –

With infinite Affection –
And infiniter Care –
Her Golden finger on Her lip –
Wills Silence – Everywhere –

Deposi la maschera e mi vidi allo specchio…, Fernando Pessoa

Deposi la maschera e mi vidi allo specchio…
Ero il bimbo di tanti anni fa.
Non ero affatto cambiato…
E’ questo il vantaggio di sapersi togliere la maschera.
Si è sempre il bimbo,
il passato che fu,
il bimbo.
Deposi la maschera, e tornai a metterla.
Così è meglio,
così senza la maschera.
E torno alla persona come a un capolinea.

(Da “Poesie scelte” Fernando Pessoa – Passigli Editori – Traduzione Luigi Panarese)

Depus a máscara e vi-me ao espelho…

Depus a máscara e vi-me ao espelho…
Era a criança de há quantos anos.
Não tinha mudado nada…
É essa a vantagem de saber tirar a máscara.
É-se sempre a criança,
O passado que foi
A criança.
Depus a máscara e tornei a pô-la.
Assim é melhor,
Assim sou a máscara.
E volto à personalidade como a um terminus de linha.

18-8-1934
(Poesias de Álvaro de Campos. Fernando Pessoa. Lisboa: Ática, 1944)

La strada non presa, da “Mountain Interval” (1916), Robert Frost

Due strade a un bivio in un bosco ingiallito,
Peccato non percorrerle entrambe,
Ma un solo viaggiatore non può farlo,
Guardai dunque una di esse indeciso,
Finché non si nascose al mio sguardo;

E presi l’altra, era buona anch’essa,
Anzi forse con qualche ragione in più,
Perché era erbosa e quindi più verde,
Benché il passaggio suppergiù
Le avesse segnate ugualmente,

E ambedue quella mattina eran distese
Nelle foglie che nessun passo aveva marcato.
Oh, prenderò la prima un’altra volta!
Ma pur sapendo che strada porta a strada,
Non credevo che sarei mai ritornato.

Dirò questo con un lungo sospiro
Chissà dove e fra tanti anni a venire:
Due strade a un bivio in un bosco, ed io –
Presi quella meno frequentata,
E da ciò tutta la differenza è nata.

The Road Not Taken

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim
Because it was grassy and wanted wear,
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I,
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

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Nella vita ci sono tante strade da percorrere e spesso ci troviamo nella condizione di fare una scelta che determinerà un aspetto della nostra esistenza.
Di questo tratta la poesia di Robert Frost (bellissima in lingua originale!) che è divenuta tuttavia celebre principalmente per la parte finale, interpretata come esortazione a seguire la via meno percorsa per condurre la nostra vita lungo i sentieri non battuti dell’autoaffermazione.