Qui nel cuore, forse, o per meglio dire: una ferita inferta col coltello, da cui sfugge la vita, sperperata, in piena coscienza ci ferisce. Il desiderare, il volere, il non bastare, disillusa ricerca del motivo che spieghi il nostro esistere casuale, questo è che duole, forse qui nel cuore.
(Traduzione di Fernanda Toriello)
No coração, talvez
No coração, talvez, ou diga antes: Uma ferida rasgada de navalha, Por onde vai a vida, tão mal gasta. Na total consciência nos retalha. O desejar, o querer, o não bastar, Enganada procura da razão Que o acaso de sermos justifique, Eis o que dói, talvez no coração.
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Martha Argerich, Theodosia Ntokou – Beethoven: Symphony No. 6 in F Major, Op. 68, “Pastoral”: I.
La Sesta sinfonia di Beethoven detta Pastorale è ben introdotta dalla seguente citazione dell’autore: “Quanta gioia mi dà il camminare tra gli arbusti, gli alberi, i boschi, l’erbe e le rocce”.
Che non verrà mai di nuovo È ciò che rende la vita così dolce. Credere a ciò che non crediamo Non rallegra.
Che se sarà, sarà al più Un patrimonio estraneo – Questo istiga un appetito Precisamente opposto.
(Traduzione di Giuseppe Ierolli)
“L’unicità della vita, la sua impermanenza porta a desiderare ciò che dura, l’assoluto e l’eterno.” Bianca Tarozzi
That it will never come again
That it will never come again Is what makes life so sweet. Believing what we dont believe Does not exhilarate.
That if it be, it be at best An ablative estate – This instigates an appetite Precisely opposite.
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Sergei Polunin – Merck Russia Project Bolero – Music: “Bolero, M. 81” Composer: Maurice Ravel Performed by Pierre Boulez
Questo video, girato a San Pietroburgo a marzo, è stato presentato in anteprima durante la Giornata Mondiale della Sclerosi Multipla a maggio 2021. Si tratta di una collaborazione con il colosso farmaceutico Merck per sensibilizzare sulla sclerosi multipla attraverso il loro programma “Live a full Life”. La musica è il Bolero di Ravel, con la coreografia di Ross Freddie Ray e gli straordinari sfondi dell’artista visivo di Hollywood Teun van der Zalm (Star Wars e altri film futuristici).
Quattro miliardi di uomini su questa terra, ma la mia immaginazione è uguale a prima. Se la cava male con i grandi numeri. Continua a commuoverla la singolarità. Svolazza nel buio come la luce d’una pila, illumina solo i primi visi che capitano, mentre il resto se ne va nel non visto, nel non pensato, nel non rimpianto. Ma questo neanche Dante potrebbe impedirlo. E figuriamoci quando non lo si è. Anche se tutte le Muse venissero a me.
Non omnis moriar – un cruccio precoce. Ma vivo intera? E questo può bastare? Non è mai bastato, e tanto meno adesso. Scelgo scartando, perché non c’è altro modo, ma quello che scarto è più numeroso, è più denso, più esigente che mai. A costo di perdite indicibili – una poesiola, un sospiro. Alla chiamata tonante rispondo con un sussurro. Non dirò di quante cose taccio. Un topo ai piedi della montagna materna. La vita dura qualche segno d’artiglio sulla sabbia.
Neppure i miei sogni sono popolati come dovrebbero. C’è più solitudine che folle e schiamazzo. Vi capita a volte qualcuno morto da tempo. Una singola mano scuote la maniglia. La casa vuota si amplia di annessi dell’eco. Dalla soglia corro giù nella valle silenziosa, come di nessuno, già anacronistica.
Da dove venga ancora questo spazio in me – non so.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
A Great Number
Four billion people on this earth, while my imagination remains as it was. It clumsily copes with great numbers. Still it is sensitive to the particular. It flutters in the dark like a flashlight, and reveals the first random faces while all the rest stay unheeded, unthought of, unlamented. Yet even Dante could not retain all that. And what of us? Even all the Muses could not help.
Non omnis moriar–a premature worry. Yet do I live entire and does it suffice? It never sufficed, and especially now. I choose by discarding, for there is no other means but what I discard is more numerous, more dense, more insistent that it ever was. A little poem, a sigh, cost indescribable losses. A thunderous call is answered by my whisper. I cannot express how much I pass over in silence. A mouse at the foot of a mountain in labor. Life lasts a few marks of a claw on the sand. My dreams–even they are not, as they ought to be, populous.
There is more of loneliness in them than of crowds and noise. Sometimes a person who died long ago drops in for a moment. A door handle moves touched by a single hand. An empty house is overgrown with annexes of an echo. I run from the threshold down into the valley that is silent, as if nobody’s, anachronic.
Poiché la mia anima ancora s’appaga del puro respiro e oppone i suoi frutti superbi alla morte tenebrosa – finché sono ancora curiosa di successo, e d’amore, finché so innalzare il mio cuore ben oltre le insidie degli anni – maledire il destino non avrebbe un perché: son io che devo qualcosa alla vita, non certo lei a me.
(Traduzione di Silvio Raffo)
Debtor
So long as my spirit still Is glad of breath And lifts its plumes of pride In the dark face of death; While I am curious still Of love and fame, Keeping my heart too high For the years to tame, How can I quarrel with fate Since I can see I am a debtor to life, Not life to me?
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Alice Sara Ott – Grieg: To Spring (Lyric Pieces Book III), Wonderland
David Garrett spielt den 1. Satz: “Allegro moderato” aus dem Violinkonzert Op.35/D Major von Peter Tschaikowski – Conductor: Riccardo Chailly, Filarmonica Della Scala – George Enescu Festival Bukarest 2017
Sugli alti rami d’alberi frondosi il vento fa un rumore freddo ed alto. In questa selva perso, in questo suono, medito solitario.
Così nel mondo, in cima a quel che sento, un vento fa la vita, e lascia, e prende, e nulla ha senso – neppure l’anima con cui da solo penso.
(Da “Poesie Scelte” a cura di Luigi Panarese, Passigli Editori 2006)
Nos altos ramos de árvores frondosas
Nos altos ramos de árvores frondosas O vento faz um rumor frio e alto. Nesta floresta, em este som me perco E sozinho medito.
Assim no mundo, acima do que sinto, Um vento faz a vida, e a deixa, e a toma, E nada tem sentido — nem a alma Com que penso sozinho.
Ricardo Reis, heterónimo de Fernando Pessoa (1888-1935), in « Odes de Ricardo Reis », Ática, 1946 (imp.1994)
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Hélène Grimaud – Woodlands and beyond…
Together with photographer Mat Hennek, French star pianist Hélène Grimaud, comes up with a multimedia concert project at the Grand Hall of Hamburg’s Elbphilharmonie. Grimaud’s virtuous piano performance is accompanied by Hennek’s highly praised photo series “Woodlands”, which depicts genuine portraits of trees. Grimaud’s piano recital includes works by romantic and impressionistic composers.
Les Indes galantes, RCT 44, Nouvelle entrée, Les sauvages, Scène VI: Rondeau – Duo et choeur “Forêts paisibles” · Teodor Currentzis · Jean-Philippe Rameau
Come ogni fior languisce e giovinezza cede a vecchiaia, anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce, insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna. Quando la vita chiama, il cuore sia pronto a partire e a ricominciare, per offrirsi sereno e valoroso ad altri nuovi vincoli e legami. Ogni inizio contiene una magia che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi, senza fermare in alcun d’essi il piede, lo spirito universal non vuol legarci, ma su di grado in grado sollevarci. Appena ci avvezziamo ad una sede rischiamo d’infiacchire nell’ignavia: sol chi è disposto a muoversi e partire vince della consuetudine la paralisi.
Forse il momento stesso della morte ci farà andare incontro a nuovi spazi: della vita il richiamo non ha fine…. Su, cuore mio, congedati e guarisci…
“Stufen” è stata scritta da Hermann Hesse dopo una lunga malattia nel maggio del 1941, è una poesia carica di ottimismo, un inno alla possibilità dell’uomo di continuare a migliorarsi, a crescere “gradino dopo gradino”. Avere curiosità verso il “nuovo”: in gioventù così come in vecchiaia, la vita riserva momenti di inattesa magia che bisognerebbe saper cogliere accettando il processo di cambiamento continuo.
Stufen
Wie jede Blüte welkt und jede Jugend Dem Alter weicht, blüht jede Lebensstufe, Blüht jede Weisheit auch und jede Tugend Zu ihrer Zeit und darf nicht ewig dauern. Es muß das Herz bei jedem Lebensrufe Bereit zum Abschied sein und Neubeginne, Um sich in Tapferkeit und ohne Trauern In andre, neue Bindungen zu geben. Und jedem Anfang wohnt ein Zauber inne, Der uns beschützt und der uns hilft, zu leben.
Wir sollen heiter Raum um Raum durchschreiten, An keinem wie an einer Heimat hängen, Der Weltgeist will nicht fesseln uns und engen, Er will uns Stuf’ um Stufe heben, weiten. Kaum sind wir heimisch einem Lebenskreise Und traulich eingewohnt, so droht Erschlaffen, Nur wer bereit zu Aufbruch ist und Reise, Mag lähmender Gewöhnung sich entraffen.
Es wird vielleicht auch noch die Todesstunde Uns neuen Räumen jung entgegensenden, Des Lebens Ruf an uns wird niemals enden … Wohlan denn, Herz, nimm Abschied und gesunde!
D’inverno due specie di campi sulle colline verso Prosser: campi di grano novello, verde, le marze che di notte vengono fuori dalla terra arata e aspettano e poi salgono ancora, e germogliano. Le anatre amano questo grano verde. Anch’io ne ho mangiato una volta, per provare.
Poi campi di stoppie di grano fino al fiume. Sono i campi che hanno perso tutto. Di notte cercano di ricordare la loro giovinezza, ma il loro respiro è lento e irregolare, mentre le loro vite affondano nei solchi oscuri. Le anatre amano anche questo grano sbriciolato. Ci muoiono, per quello.
Tutto però è scordato, tutto o quasi, prima piuttosto che poi, se Dio vuole – padri e amici, ognuno attraversa la tua vita dentro e poi fuori; per un poco ci sono donne, poi via, e i campi volgono le spalle, svaniscono nella pioggia. Tutto passa, non Prosser.
Quelle notti, ritornando fra miglia di campi di grano – i fari rastrellavano i campi a ogni curva – Prosser, quel paese, brillava appena giunti sulle colline; il rantolo del radiatore, noi stanchi morti, odore di polvere da sparo ancora sulle dita: a stento posso vederlo, lui, mio padre: dà un’occhiata dal parabrezza di quella vettura e dice: Prosser.
(Traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante)
Prosser
In winter two kinds of fields on the hills outside Prosser: fields of new green wheat, the slips rising overnight out of the plowed ground, and waiting, and then rising again, and budding. Geese love this green wheat. I ate some of it once too, to see.
And wheat stubble-fields that reach to the river. These are the fields that have lost everything. At night they try to recall their youth, but their breathing is slow and irregular as their life sinks into dark furrows. Geese love this shattered wheat also. They will die for it.
But everything is forgotten, nearly everything, and sooner rather than later, please God— fathers, friends, they pass into your life and out again, a few women stay a while, then go, and the fields turn their backs, disappear in rain. Everything goes, but Prosser.
Those nights driving back through miles of wheat fields— headlamps raking the fields on the curves— Prosser, that town, shining as we break over hills, heater rattling, tired through to bone, the smell of gunpowder on our fingers still: I can barely see him, my father, squinting through the windshield of that cab, saying, Prosser.
Splendide mattinate. Giorni in cui mi manca tanto che non mi manca niente. Mi basta questa vita e non voglio altro. Immobile, spero che nessuno arrivi. Ma se arriva qualcuno, spero sia lei. Quella con le stelline di brillanti sulla punta delle scarpe. La ragazza che ho visto danzare il minuetto. Quell’antica danza. Il minuetto. Lo danzava come doveva essere danzato. E a modo suo.
(Traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante)
The Minuet
Bring mornings. Days when I want so much I want nothing. Just this life, and no more. Still, I hope no one comes along. But if someone does, I hope it’s her. The one with the little diamond stars at the toes of her shoes. The girl I saw dance the minuet. That antique dance. The minuet. She danced that the way it should be danced. And the way she wanted.