Nuovi piedi corrono per il mio giardino, Emily Dickinson

Nuovi piedi corrono per il mio giardino –
nuove dita smuovono la terra –
un trovatore sull’olmo
tradisce la solitudine.

Nuovi bambini giocano sul prato –
nuovi stanchi dormono sotto –
e ancora la primavera pensosa ritorna –
e ancora la neve puntuale!

(Traduzione di Massimo Bacigalupo)
Nota del traduttore:
Il sentimento della primavera evocato da una serie di immagini che si concludono con il presentimento dell’inverno. In realtà ogni distico affianca a un motivo primaverile un’allusione alla morte (quasi ogni verso è costituito da una frase completa).

New Feet Within My Garden Go 

New feet within my garden go –
New fingers stir the sod –
A Troubadour upon the Elm
Betrays the solitude.

New Children play upon the green –
New Weary sleep below –
And still the pensive Spring returns –
And still the punctual snow!
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Chopin Minute Waltz / Minutenwalzer Op. 64 No. 1 in D-flat major played by Anastasia Huppmann

Campo dei Fiori, da “Poesie” (1983), Czesław Miłosz

A Roma in Campo dei Fiori
ceste di olive e limoni,
spruzzi di vino per terra
e frammenti di fiori.
Rosati frutti di mare
vengono sparsi sui banchi,
bracciate d’uva nera
sulle pesche vellutate.

Proprio qui, su questa piazza
fu arso Giordano Bruno.
Il boia accese la fiamma
fra la marmaglia curiosa.
E non appena spenta la fiamma,
ecco di nuovo piene le taverne.
Ceste di olive e limoni
sulle teste dei venditori.

Mi ricordai di Campo dei Fiori
a Varsavia presso la giostra,
una chiara sera d’aprile,
al suono d’una musica allegra.
Le salve del muro del ghetto
soffocava l’allegra melodia
e le coppie si levavano alte
nel cielo sereno.

Il vento dalle case in fiamme
portava neri aquiloni,
la gente in corsa sulle giostre
acchiappava i fiocchi nell’aria.
Gonfiava le gonne alle ragazze
quel vento dalle case in fiamme,
rideva allegra la folla
nella bella domenica di Varsavia.

C’è chi ne trarrà la morale
che il popolo di Varsavia o Roma
commercia, si diverte, ama
indifferente ai roghi dei martiri.
Altri ne trarrà la morale
sulla fugacità delle cose umane,
sull’oblio che cresce
prima che la fiamma si spenga.

Eppure io allora pensavo
alla solitudine di chi muore.
Al fatto che quando Giordano
salì sul patibolo
non trovò nella lingua umana
neppure un’espressione,
per dire addio all’umanità,
l’umanità che restava.

Rieccoli a tracannare vino,
a vendere bianche asterie,
ceste di olive e limoni
portavano con gaio brusio.
Ed egli già distava da loro
come fossero secoli,
essi attesero appena
il suo levarsi nel fuoco.

E questi, morenti, soli,
già dimenticati dal mondo,
la loro lingua ci è estranea
come lingua di antico pianeta.
Finché tutto sarà leggenda
e allora dopo molti anni
su un nuovo Campo dei Fiori
un poeta desterà la rivolta.

Varsavia – Pasqua, 1943

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Campo di Fiori 

W Rzymie na Campo di Fiori
Kosze oliwek i cytryn,
Bruk opryskany winem
I odłamkami kwiatów.
Różowe owoce morza
Sypią na stoły przekupnie,
Naręcza ciemnych winogron
Padają na puch brzoskwini.
Tu na tym właśnie placu
Spalono Giordana Bruna,
Kat płomień stosu zażegnął
W kole ciekawej gawiedzi.
A ledwo płomień przygasnął,
Znów pełne były tawerny,
Kosze oliwek i cytryn
Nieśli przekupnie na głowach.

Wspomniałem Campo di Fiori
W Warszawie przy karuzeli,
W pogodny wieczór wiosenny,
Przy dźwiękach skocznej muzyki,
Salwy za murem getta
Głuszyła skoczna melodia
I wzlatywały pary
Wysoko w pogodne niebo.

Czasem wiatr z domów płonących
Przynosił czarne latawce,
Łapali płatki w powietrzu
Jadący na karuzeli.
Rozwiewał suknie dziewczynom
Ten wiatr od domów płonących,
Śmiały się tłumy wesołe
W czas pięknej warszawskiej niedzieli.

Morał ktoś może wyczyta,
Że lud warszawski czy rzymski
Handluje, bawi się, kocha
Mijając męczeńskie stosy.
Inny ktoś morał wyczyta
O rzeczy ludzkich mijaniu,
O zapomnieniu, co rośnie,
Nim jeszcze płomień przygasnął.

Ja jednak wtedy myślałem
O samotności ginących.
O tym, że kiedy Giordano
Wstępował na rusztowanie,
Nie znalazł w ludzkim języku
Ani jednego wyrazu,
Aby nim ludzkość pożegnać,
Tę ludzkość, która zostaje.

Już biegli wychylać wino,
Sprzedawać białe rozgwiazdy,
Kosze oliwek i cytryn
Nieśli w wesołym gwarze.
I był już od nich odległy,
Jakby minęły wieki,
A oni chwilę czekali
Na jego odlot w pożarze.

I ci ginący, samotni,
Już zapomniani od świata,
Język ich stał się nam obcy
Jak język dawnej planety.
Aż wszystko będzie legendą
I wtedy po wielu latach
Na nowym Campo di Fiori
Bunt wznieci słowo poety.

Warszawa, 1943

Campo dei Fiori

In Rome on the Campo dei Fiori
baskets of olives and lemons,
cobbles spattered with wine
and the wreckage of flowers.
Vendors cover the trestles
with rose-pink fish;
armfuls of dark grapes
heaped on peach-down.

On this same square
they burned Giordano Bruno.
Henchmen kindled the pyre
close-pressed by the mob.
Before the flames had died
the taverns were full again,
baskets of olives and lemons
again on the vendors’ shoulders.

I thought of the Campo dei Fiori
in Warsaw by the sky-carousel
one clear spring evening
to the strains of a carnival tune.
The bright melody drowned
the salvos from the ghetto wall,
and couples were flying
high in the cloudless sky.

At times wind from the burning
would drift dark kites along
and riders on the carousel
caught petals in midair.
That same hot wind
blew open the skirts of the girls
and the crowds were laughing
on that beautiful Warsaw Sunday.

Someone will read as moral
that the people of Rome or Warsaw
haggle, laugh, make love
as they pass by the martyrs’ pyres.
Someone else will read
of the passing of things human,
of the oblivion
born before the flames have died.

But that day I thought only
of the loneliness of the dying,
of how, when Giordano
climbed to his burning
he could not find
in any human tongue
words for mankind,
mankind who live on.

Already they were back at their wine
or peddled their white starfish,
baskets of olives and lemons
they had shouldered to the fair,
and he already distanced
as if centuries had passed
while they paused just a moment
for his flying in the fire.

Those dying here, the lonely
forgotten by the world,
our tongue becomes for them
the language of an ancient planet.
Until, when all is legend
and many years have passed,
on a new Campo dei Fiori
rage will kindle at a poet’s word.

Warsaw, 1943

(Tanslated from Polish by David Brooks and Louis Iribane)

Urgentemente, Eugénio De Andrade

È urgente l’amore.
È urgente una barca in mare.

È urgente distruggere certe parole,
odio, solitudine e crudeltà,
alcuni lamenti,
molte spade.

È urgente inventare allegria,
moltiplicare i baci, i raccolti,
è urgente scoprire rose e fiumi
e mattine limpide.

Cade il silenzio sulle spalle e la luce
impura, fino a dolere.
È urgente l’amore, è urgente
restare.

Urgentemente

É urgente o amor.
É urgente um barco no mar.

É urgente destruir certas palavras,
ódio, solidão e crueldade,
alguns lamentos,
muitas espadas.

É urgente inventar alegria,
multiplicar os beijos, as searas,
é urgente descobrir rosas e rios
e manhãs claras.

Cai o silêncio nos ombros e a luz
impura, até doer.
É urgente o amor, é urgente
permanecer.

Urgently

It’s urgent — love.
It’s urgent — a boat upon the sea.

It’s urgent to destroy certain words,
hate, solitude, and cruelty,
some moanings,
many swords.

It’s urgent to invent a joyfulness,
multiply kisses and cornfields,
discover roses and rivers
and glistening mornings — it’s urgent.

Silence and an impure light fall upon
our shoulders till they ache.
It’s urgent — love, it’s urgent
to endure.

(Translated by Alexis Levitin)

Il giardiniere, Mary Oliver

Ho vissuto abbastanza?
Ho amato abbastanza?
Ho considerato abbastanza la giusta azione, sono giunto a qualche conclusione?
Ho provato la felicità con sufficiente gratitudine?
Ho sopportato la solitudine con grazia?

Dico questo, o forse lo sto solo pensando.
In realtà probabilmente penso troppo.

Poi esco in giardino,
dove il giardiniere, che si dice sia un uomo semplice,
sta curando le sue figlie, le rose.

The Gardener

Have I lived enough?
Have I loved enough?
Have I considered Right Action enough, have I come to any conclusion?
Have I experienced happiness with sufficient gratitude?
Have I endured loneliness with grace?

I say this, or perhaps I’m just thinking it.
Actually I probably think too much.

Then I step out into the garden,
where the gardener, who is said to be a simple man,
is tending his children, the roses.

462-0614, da “L’amore è un cane che viene dall’inferno”, Charles Bukowski

adesso ricevo molte telefonate.
Tutte uguali.
“sei Charles Bukowski,
lo scrittore?”
“sì” dico io.
e mi dicono
che capiscono
quello che scrivo,
e alcuni di loro sono scrittori
o vogliono diventarlo
e hanno impieghi noiosi e
orribili
e non possono sopportare la stanza
l’appartamento
i muri
quella sera –
vogliono qualcuno con cui
parlare,
e non riescono a credere
che non posso aiutarli
che non conosco la formula.
non riescono a credere
che spesso di questi tempi
mi chiudo in camera
mi afferro la panza
e dico:
“Gesù Gesù Gesù,
un’altra volta
no!”
non riescono a credere
che la gente senza amore
le strade
la solitudine
i muri
sono anche miei.
e quando riaggancio il ricevitore
pensano che mi sia tenuto per me
il segreto.

non scrivo
con cognizione di causa.
quando suona il telefono
piacerebbe anche a me sentire
parole capaci di alleviare
un po’ di questo.

ecco perché il mio numero
è sull’elenco.

(Traduzione di Katia Bagnoli)

462-0614

I get many phonecalls now.
They are all alike.
“are you Charles Bukowski,
the writer?”
“yes,” I tell them.
and they tell me
that they understand my
writing,
and some of them are writers
or want to be writers
and they have dull and
horrible jobs
and they can’t face the room
the apartment
the walls
that night –
they want somebody to talk
to,
and they can’t believe
that I can’t help them
that I don’t know the words.
they can’t believe
that often now
I double up in my room
grab my gut
and say
“Jesus Jesus Jesus, not
again!”
they can’t believe
that the loveless people
the streets
the loneliness
the walls
are mine too.
and when I hang up the phone
they think I have held back my
secret.

I don’t write out of
knowledge.
when the phone rings
I too would like to hear words
that might ease
some of this.

that’s why my number’s
listed.

Ode alla vita, Pablo Neruda

L’intera notte
come un’ascia
m’ha colpito con dolore
il sogno però è passato
lavando via come l’acqua oscura
pietre insanguinate.
Oggi di nuovo son vivo.
Ancora ti sollevo, vita, sulle mie spalle.
Oh, vita,
coppa chiara,
improvvisamente ti riempi
di acqua sporca, di vino morto,
di agonia, di perdite,
di Dantesche ragnatele,
e molti credono che quella infernale tinta
manterrai per sempre.
Non è detto.
Passa una notte lenta,
passa un minuto solo
e tutto cambia.
Si riempie di trasparenza la coppa della vita.
Una grande battaglia ci aspetta
Da un solo colpo nascon le colombe
Ritorna la luce sulla terra.
Vita,
i poveri poeti
ti credon amara,
non sono sorti dal letto con te
al vento del mondo.
Accolsero i colpi
senza cercarti,
si scavarono
un foro nero
e andarono sprofondando
nella pena
d’un pozzo solitario.
Non è vero, vita,
sei bella
come colei che amo
e hai nel grembo
profumo di menta
Vita,
sei un meccanismo completo,
felicità, suono di tormenta,
effusione d’olio delicato.
Vita,
sei come una vigna:
convergi la luce per diffonderla
trasformata in grappoli
C’è chi ti rinnega
chi aspetta
un minuto, una notte
un anno breve o lungo
chi esce
dalla sua solitudine bugiarda
chi indaga e lotta, congiunge
le sue mani ad altre mani
chi non cede nè adula
la sfortuna,
chi la ricaccia dandole
forma di muro,
come gli scalpellini alla pietra,
chi taglia la miseria
e si fa con essa
i pantaloni.
La vita ci aspetta
tutti noi
che amiamo
il selvaggio profumo
di mare e di menta
annidato nel suo seno.

(Trad. di Hanna Filo)

Oda a la vida

La noche entera
con un hacha
me ha golpeado el dolor,
pero el sueño
pasó lavando como un agua oscura
piedras ensangrentadas.Continua a leggere…

A un gatto, da “L’oro delle tigri”, Jorge Luis Borges

Non sono più silenziosi gli specchi
né più furtiva l’alba avventuriera;
sei, sotto la luna, quella pantera
che a noi ci è dato percepire da lontano.
Per opera indecifrabile di un decreto
divino ti cerchiamo invano;
più remoto del Gange e del Ponente
tua è la solitudine, tuo il segreto.
La tua schiena accondiscende la carezza
lenta della mia mano. Hai accolto,
da quella eternità che è già oblio,
l’amore di una mano timorosa.
Sei in un altro tempo. Sei il padrone
di un abito chiuso come un sogno.

A un gato

No son más silenciosos los espejos
ni más furtiva el alba aventurera;
eres, bajo la luna, esa pantera
que nos es dado divisar de lejos.
Por obra indescifrable de un decreto
divino, te buscamos vanamente;
más remoto que el Ganges y el poniente,
tuya es la soledad, tuyo el secreto.
Tu lomo condesciende a la morosa
caricia de mi mano. Has admitido,
desde esa eternidad que ya es olvido,
el amor de la mano recelosa.
En otro tiempo estás. Eres el dueño
de un ámbito cerrado como un sueño.

La neve che mai si accumula, Emily Dickinson

La Neve che mai si accumula –
La transitoria, fragrante neve
Che arriva una sola volta l’Anno
Morbida s’impone ora –

Tanto pervade l’albero
Di notte sotto la stella
Che certo sia il Passo di Febbraio
L’Esperienza giurerebbe –

Invernale come un Volto
Che austero e antico conoscemmo
Riparato in tutto tranne la Solitudine
Dall’Alibi della Natura –

Fosse ogni Tempesta così dolce
Valore non avrebbe –
Noi compriamo per contrasto – La Pena è buona
Quanto più vicina alla memoria –

(Trad. di Giuseppe Ierolli)

The Snow that Never Drifts

The Snow that never drifts –
The transient, fragrant snow
That comes a single time a Year
Is softly driving now –

So thorough in the Tree
At night beneath the star
That it was February’s Foot
Experience would swear –

Like Winter as a Face
We stern and former knew
Repaired of all but Loneliness
By Nature’s Alibi –

Were every Storm so sweet
The Value could not be –
We buy with contrast – Pang is good
As near as memory –

C’è una solitudine dello spazio, Emily Dickinson

C’è una solitudine dello spazio
Una solitudine del mare
Una solitudine della Morte, ma queste
Sono comunità
Confrontate con quell’area più profonda
Quell’intimità polare
Un’anima al cospetto di se stessa –

(Traduzione di Giuseppe Ierolli)

There is a solitude of space

There is a solitude of space
A solitude of sea
A solitude of death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
A soul admitted to itself –

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Nota del traduttore: Nelle edizioni correnti, esclusa quella di Franklin, c’è un verso aggiunto alla fine: “Finite Infinity.” (“Finità Infinita.”). Johnson annota: “Non si conosce nessun autografo di questa poesia, qui riprodotta da due fonti: i primi sette versi seguono la trascrizione di Sue, che non copiò il verso finale. L’ultimo verso è tratto dal testo pubblicato.” [The Single Hound, a cura di Martha Dickinson Bianchi e Alfred Leete Hampson, Little Brown, Boston, 1914]. Franklin trascrive la poesia seguendo la copia di Susan e considera il verso finale una probabile aggiunta editoriale.
Si può ipotizzare che nell’edizione del 1914 la figlia di Susan abbia potuto servirsi di un’altra copia, autografa o meno, ora perduta, ma la mancanza dell’originale dickinsoniano lascia la questione irrisolta.

La luna, Jorge Luis Borges

C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio.

La luna

A María Kodama

Hay tanta soledad en ese oro.
La luna de las noches no es la luna
que vio el primer Adán. Los largos siglos
de la vigilia humana la han colmado
de antiguo llanto. Mírala. Es tu espejo.