Stupore, da “Ogni caso” (1972), Wislawa Szymborska

Perché mai a tal punto singolare?
Questa e non quella? E qui che ci sto a fare?
Di martedì? In una casa e non nel nido?
Pelle e non squame? Non foglia, ma viso?
Perché di persona una volta soltanto?
E sulla terra? Con una stella accanto?
Dopo tante ere di non presenza?
Per tutti i tempi e tutti gli ioni?
Per i vibrioni e le costellazioni?
E proprio adesso? Fino all’essenza?
Sola da me e con me? Perché mi chiedo,
non a lato, né a miglia di distanza,
non ieri, né cent’anni addietro, siedo
e guardo un angolo buio della stanza
come, rizzato il capo, sta a guardare
la cosa ringhiante che chiamano cane?

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Lo “stupore” di Wislawa Szymborska tradotto anche come “meraviglia”, è una semplice poesia di sedici versi in cui la poetessa pone una serie di domande sul motivo per cui esiste in questo mondo nella forma in cui esiste. Il poema profondamente filosofico pone dieci domande sul sé umano, sul posto di una persona nel mondo e sulla natura dell’esistenza, ma non offre risposte a questi enigmi. Piuttosto, c’è qualche suggerimento sul fatto che a queste domande metafisiche non si possa rispondere affatto e che la migliore risposta al mondo complesso e imperscrutabile sia quella dello stupore perché l’atto di porre domande non si avvicina allo svelare i misteri dell’esistenza.

Astonishment

Why after all this one and not the rest?
Why this specific self, not in a nest,
but a house? Sewn up not in scales, but skin?
Not topped off by a leaf, but by a face?
Why on earth now, on Tuesday of all days,
and why on earth, pinned down by this star’s pin?
In spite of years of my not being here?
In spite of seas of all these dates and fates,
these cells, celestials and coelenterates?
What is it really that made me appear
neither an inch nor half a globe too far,
neither a minute nor aeons too early?
What made me fill myself with me so squarely?
Why am I staring now into the dark
and muttering this unending monologue
just like the growling thing we call a dog?

(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)

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Igor Stravinsky: Le Sacre du printemps (revised version from 1947) / Sir Simon Rattle, conductor · Berliner Philharmoniker / Recorded at the Berlin Philharmonie, 9 November 2012

La libertà, Langston Hughes

La libertà non verrà
oggi, quest’anno
o mai
tramite il compromesso e la paura.

Io ho gli stessi diritti
di chiunque altro
di camminare
con le mie gambe
e possedere la terra.

Sono stufo di sentirmi ripetere
Lascia correre
Domani è un altro giorno

Non mi serve la libertà da morto.
Non posso vivere del pane di domani.
La libertà
è un seme robusto
seminato
nella grande necessità.
Io pure vivo qui.
E voglio la libertà
esattamente come te.

Freedom

Freedom will not come
Today, this year
Nor ever
Through compromise and fear.

I have as much right
As the other fellow has
To stand
On my two feet
And own the land.

I tire so of hearing people say,
Let things take their course.

Tomorrow is another day.
I do not need my freedom when I’m dead.
I cannot live on tomorrow’s bread.
Freedom
Is a strong seed
Planted
In a great need.
I live here, too.
I want my freedom
Just as you.

Langston Hughes, “Freedom [1]” from The Collected Works of Langston Hughes (2002)

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Beethoven: Why people all over the world love Beethoven’s 9th Symphony | Music Documentary

Un veloce giro del mondo sulle tracce della Nona Sinfonia di Beethoven. Sei musicisti provenienti da diversi paesi – tra cui il direttore d’orchestra Teodor Currentzis e il compositore Tan Dun – raccontano le loro idee e sentimenti quando interpretano la famosa sinfonia. Nonostante la varietà delle voci, c’è una nota chiave unificante: la Nona di Beethoven è un simbolo di libertà, gioia e umanità. Rappresenta la visione di un mondo migliore.

Il classico, da “Ogni caso” (1972), Wislawa Szymborska

Qualche zolla di terra, e la vita sarà dimenticata.
La musica si libererà dalle circostanze.
Si calmerà la tosse del maestro sui minuetti.
E saranno tolti i cataplasmi.
Il fuoco divorerà la parrucca piena di polvere e pidocchi.
Spariranno le macchie d’inchiostro dal polsino di pizzo.
Finiranno tra i rifiuti le scarpe, scomode testimoni.
Il violino verrà preso dall’allievo meno dotato.
Saranno tolti dagli spartiti i conti del macellaio.
Le lettere della povera madre finiranno in pancia ai topi.
L’amore sfortunato svanirà nel nulla.
Gli occhi smetteranno di lacrimare.
Il nastro rosa servirà alla figlia dei vicini.
I tempi, grazie a Dio, non sono ancora romantici.
Tutto ciò che non è quartetto
come quinto sarà scartato.
Tutto ciò che non è quintetto
come sesto sarà soffiato via.
Tutto ciò che non è un coro di quaranta angeli
tacerà come guaito di cane e singulto di gendarme.
Verrà tolto dalla finestra il vaso con l’aloe,
il piatto con il moschicida e il vasetto di pomata,
e apparirà – ma sì – la vista sul giardino,
il giardino che lì non c’era mai stato.
E ora ascoltate, ascoltate, o mortali,
stupefatti tendete attenti l’orecchio,
o assorti, o stupiti, o rapiti mortali,
ascoltate – ascoltatori – mutati in udito.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Klasyk

Kil­ka grud zie­mi a bę­dzie za­po­mnia­ne ży­cie.
Mu­zy­ka wy­swo­bo­dzi się z oko­licz­no­ści.
Ucich­nie ka­szel mi­strza nad me­nu­eta­mi.
I ode­rwa­ne będą ka­ta­pla­zmy.
Ogień stra­wi pe­ru­kę peł­ną ku­rzu i wszy.
Znik­ną pla­my in­kau­stu z ko­ron­ko­we­go man­kie­tu.
Pój­dą na śmiet­nik trze­wi­ki, nie­wy­god­ni świad­ko­wie.
Skrzyp­ce za­bie­rze so­bie uczeń naj­mniej zdol­ny.
Po­wyj­mo­wa­ne będą z nut ra­chun­ki od rzeź­ni­ka.
Do my­sich brzu­chów tra­fią li­sty bied­nej mat­ki.
Uni­ce­stwio­na zga­śnie nie­for­tun­na mi­łość.
Oczy prze­sta­ną łza­wić.
Ró­żo­wa wstąż­ka przy­da się cór­ce są­sia­dów.
Cza­sy, chwa­lić Boga, nie są jesz­cze ro­man­tycz­ne.
Wszyst­ko, co nie jest kwar­te­tem,
bę­dzie jako pią­te od­rzu­co­ne.
Wszyst­ko, co nie jest kwin­te­tem,
bę­dzie jako szó­ste zdmuch­nię­te.
Wszyst­ko, co nie jest chó­rem czter­dzie­stu anio­łów,
zmilk­nie jako psi sko­wyt i czkaw­ka żan­dar­ma.
Za­bra­ny bę­dzie z okna wa­zon z alo­esem,
ta­lerz z trut­ką na mu­chy i sło­ik z po­ma­dą,
i od­sło­ni się wi­dok – ależ tak! – na ogród,
ogród, któ­re­go ni­g­dy tu nie było.
No i te­raz słu­chaj­cie, słu­chaj­cie, śmier­tel­ni,
w zdu­mie­niu pil­nie nad­sta­wiaj­cie ucha,
o pil­ni, o zdu­mie­ni, o za­słu­cha­ni śmier­tel­ni,
słu­chaj­cie – słu­cha­ją­cy – za­mie­nie­ni w słuch.

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Tchaikovsky: Symphony No.5 In E Minor, Op.64, TH.29 – 4. Finale (Andante maestoso – Allegro vivace) · Wiener Philharmoniker · Valery Gergiev (Released on: 1999-01-01)