Il fantasma, Billy Collins

Io sono il cane che hai fatto addormentare,
(come preferisci definire l’ago dell’oblio),
tornato a dirti solamente questo:
Non mi sei mai piaciuto: neanche un poco.
Quando ti leccavo la faccia,
mi veniva voglia di morderti il naso.
Quando ti guardavo mentre ti asciugavi con l’accappatoio,
Avrei volentieri fatto un balzo per evirarti con un morso.
Mi irritava il tuo modo di muoverti,
la tua mancanza di grazia animale,
il modo in cui ti mettevi su una sedia per mangiare,
il tovagliolo in grembo, un coltello in mano.
Avrei voluto andarmene,
ma ero troppo debole, un trucco che mi hai insegnato
quando stavo imparando a stare a cuccia e camminare al piede,
e – il peggiore degli insulti – dare la zampetta come fosse una mano.
Ammetto che la vista del guinzaglio
mi eccitava
ma solo perché voleva dire che di lì a poco
avrei annusato cose che tu non hai mai toccato.
Non ci vuoi credere,
ma non ho ragione di mentire.
Odiavo la macchina, i giochini di gomma,
mi stavano antipatici i tuoi amici e, peggio, i tuoi parenti.
Il tintinnio delle mie targhette mi dava ai nervi.
Mi hai sempre grattato nel posto sbagliato.
Tutto quel che volevo da te
era cibo e acqua fresca nelle mie ciotole di metallo.
Mentre dormivi, ti guardavo respirare
quando la luna saliva nel cielo.
Ci voleva tutta la mia forza
per non sollevare la testa e ululare.
Ora sono libero dal collare,
dall’impermeabile giallo, dal maglioncino con le iniziali,
dall’assurdità del tuo prato,
e questo è tutto quel che devi sapere di questo posto
tranne quel che già ti immagini
e sei felice non sia successo prima:
che qui tutti sanno leggere e scrivere,
i cani in versi, i gatti e tutti gli altri in prosa.

[Traduzione  di Piero Vereni]

The Revenant

I am the dog you put to sleep,
as you like to call the needle of oblivion,
come back to tell you this simple thing:
I never liked you—not one bit.Continua a leggere…

Il mio nome, da “L’uomo che cammina un passo avanti al buio”, Mark Strand

Una sera che il prato era verde oro e gli alberi,
marmo venato alla luna, si ergevano come nuovi mausolei
di strida e brusii di insetti, io stavo sdraiato sull’erba,
ad ascoltare le immense distanze aprirsi su di me, e mi chiedevo
cosa sarei diventato e dove mi sarei trovato,
e quanto a malapena esistessi, per un attimo sentii
che il cielo vasto e affollato di stelle era mio, e udii
il mio nome come per la prima volta, lo udii
come si sente il vento o la pioggia, ma flebile e distante
come se appartenesse non a me ma al silenzio
dal quale era venuto e al quale sarebbe tornato.

(Trad. Damiano Abeni)

My Name

Once when the lawn was a golden green
and the marbled moonlit trees rose like fresh memorials
in the scented air, and the whole countryside pulsed
with the chirr and murmur of insects, I lay in the grass,
feeling the great distances open above me, and wondered
what I would become and where I would find myself,
and though I barely existed, I felt for an instant
that the vast star-clustered sky was mine, and I heard
my name as if for the first time, heard it the way
one hears the wind or the rain, but faint and far off
as though it belonged not to me but to the silence
from which it had come and to which it would go.