Ora di stelle, da “Libro de Poemas” (1921), Federico Garcia Lorca

Il silenzio rotondo della notte
sul pentagramma
dell’infinito.

Me ne vado nudo per la strada
carico di versi
perduti.
Il nero, crivellato
dal canto del grillo,
ha questo fuoco fatuo,
morto,
del suono.
Questa luce musicale
che lo spirito
intuisce.

Scheletri di farfalle a mille
dormono nel mio recinto.

C’è una giovinezza di brezze pazze
sopra il fiume.

(Traduzione di Claudio Rendina)

Hora de estrellas

El silencio redondo de la noche
sobre el pentagrama
del infinito.

Yo me salgo desnudo a la calle,
maduro de versos
perdidos.
Lo negro, acribillado
por el canto del grillo,
tiene ese fuego fatuo,
muerto,
del sonido.
Esa luz musical
que percibe
el espíritu.

Los esqueletos de mil mariposas
duermen en mi recinto.

Hay una juventud de brisas locas
sobre el río.

Hour of Stars

The round silence of night,
one note on the stave
of the infinite.

Ripe with lost poems,
I step naked into the street.
The blackness riddled
by the singing of crickets:
sound,
that dead
will-o’-the-wisp,
that musical light
perceived
by the spirit.

A thousand butterfly skeletons
sleep within my walls.

A wild crowd of young breezes
over the river.

― Federico García Lorca, Selected Poems, 1920

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Ana Vidovic plays Asturias by Isaac Albéniz on a Jim Redgate classical guitar

Canzone nuovissima dei gatti, da “I gatti lo sapranno” (2010), Federico Garcia Lorca

Mefistofele da casa
se ne sta sdraiato al sole.
E’ un gatto che ha eleganza e posa da leone,
beneducato e buono,
seppure un po’ burlone.
Sa parecchio di musica; capisce
Debussy, però non
gli piace Beethoven.
Il mio gatto stanotte
ha camminato sopra la tastiera.
Oh, che soddisfazione
per l’anima sua! Debussy
è stato un gatto filarmonico nella sua vita precedente.
Questo geniale francese comprese la bellezza
dell’accordo gattesco sulla tastiera. Sono
accordi moderni di acqua torbida d’ombra
(io gatto lo capisco).
Irritano il borghese: Mirabile missione!
La Francia ammira i gatti. Verlaine fu quasi un gatto
brutto e semicattolico, schivo e giocherellone,
dal miagolio celeste a una luna invisibile,
leccato dalle mosche e bruciato dall’alcol.
La Francia ama i gatti e la Spagna il torero.
La Russia ama la notte e la Cina il dragone.
Il gatto è inquietante, non è di questo mondo. Ha
quell’enorme prestigio d’essere già stato Dio.
Vi siete accorti quando ci guarda sonnecchiando?
Che sembra che ci dica: la vita è un susseguirsi
di ritmi sessuali. Un suo sesso ha la luce,
sesso ha la stella, e sesso ha il fiore.
E guarda disperdendo nell’ombra la sua anima verde.
Noi vediam tutti dietro al grande caprone.
Il suo spirito è androgino di sessi già appassiti,
languore femminile e vibrare di maschio,
uno spirito raro di innocenza e lussuria,
vecchiaia e giovinezza sposate con amore.
Son Filippi Secondi dogmatici ed alteri,
fedele odiano il cane, perché servile il topo,
ammettono carezze con un gesto distinto
guardandoci con aria serena e superiore.
Mi sembrano maestri d’alta malinconia,
potrebbero curare le tristezze dell’essere civili.
Le risorse moderne, carriarmati, biplani,
ravvivano nell’anima il remoto dolore.
La vita ad ogni passo raffina le tristezze,
le anime cristallizzano e il vero volò via,
un chicco di amarezza si interra e dà la spiga.
I gatti sanno questo meglio del contadino.
Han qualcosa dei gufi e di rozzi serpenti,
avranno avuto le ali quando furon creati.
E di certo parlarono con quegli aborti
satanici che Antonio vide dalla sua grotta.
Un gatto imbestialito è quasi Schopenhauer.
Attaccabrighe orrendo con faccia da birbante,
i gatti son però sempre beneducati,
e procurano seri di sdraiarsi nel sole.
L’uomo è disprezzabile (dicon loro), la morte
arriva prima o poi, Godiamo del calore!

Questo mio grande gatto, splendido e vescovile
si addormenta alla nenia sepolcrale dell’orologio.
Che gli importa dei seni dell’oscuro Ecclesiaste,
o dei saggi consigli del vecchio Salomone?
Tu dormi, gatto mio, come un dio sonnacchioso,
mentre qui io sospiro per qualcosa che volò via.
Pecopian si sorride, bello dentro il mio specchio,
di un teschio il suo sorriso ha l’espressione.

Tu dormi santamente mentre io suono il piano
questo mostro con denti di neve e di carbone.

E tu gatto di ricco, vetta della pigrizia,
ricorda che ci sono dei gatti vagabondi
martirizzati dai bambini che li ammazzano a sassate
e muoion come Socrate
dando loro il proprio perdono.

(Traduzione è di Valerio Nardoni)

Canción novísima de los gatos

Mefistófeles casero está tumbado al sol.
Es un gato elegante con gesto de león,
bien educado y bueno, si bien algo burlón.
Es muy músico; entiende a Debussy,
mas no le gusta Beethoven.
Mi gato paseó de noche en el teclado,
¡Oh, que satisfacción de su alma! Debussy
fue un gato filarmónico en su vida anterior.
Este genial francés comprendió la belleza
del acorde gatuno sobre el teclado. Son
acordes modernos de agua turbia de sombra
(yo gato lo entiendo).
Irritan al burgués: ¡Admirable misión!
Francia admira a los gatos. Verlaine fue casi un gato
feo y semicatólico, huraño y juguetón,
que mayaba celeste a una luna invisible,
lamido por las moscas y quemado de alcohol.
Francia quiere a los gatos como España al torero.
Como Rusia a la noche, como China al dragón.
El gato es inquietante, no es de este mundo. Tiene
el enorme prestigio de haber sido ya Dios.
¿Habéis notado cuando nos mira soñoliento?
Parece que nos dice: la vida es sucesión
de ritmos sexuales. Sexo tiene la luz,
sexo tiene la estrella, sexo tiene la flor.
Y mira derramando su alma verde en la sombra.
Nosotros vemos todos detrás al gran cabrón.
Su espíritu es andrógino de sexos ya marchitos,
languidez femenina y vibrar de varón,
un espíritu raro de inocencia y lujuria,
vejez y juventud casadas con amor.
Son Felipes segundos dogmáticos y altivos,
odian por fiel al perro, por servil al ratón,
admiten las caricias con gesto distinguido
y nos miran con aire sereno y superior.
Me parecen maestros de alta melancolía,
podrían curar tristezas de civilización.
La energía moderna, el tanque y el biplano
avivan en las almas el antiguo dolor.
La vida a cada paso refina las tristezas,
las almas cristalizan y la verdad voló,
un grano de amargura se entierra y da su espiga.
Saben esto los gatos más bien que el sembrador.
Tienen algo de búhos y de toscas serpientes,
debieron tener alas cuando su creación.
Y hablarán de seguro con aquellos engendros
satánicos que Antonio desde su cueva vio.
Un gato enfurecido es casi Schopenhauer.
Cascarrabias horrible con cara de bribón,
pero siempre los gatos están bien educados
y se dedican graves a tumbarse en el sol.
El hombre es despreciable (dicen ellos), la muerte
llega tarde o temprano ¡Gocemos del calor!

Este gran gato mío arzobispal y bello
se duerme con la nana sepulcral del reloj.
¡Qué le importan los senos del negro Eclesiastés,
ni los sabios consejos del viejo Salomón?
Duerme tú, gato mío, como un dios perezoso,
mientras que yo suspiro por algo que voló.
El bello Pecopian se sonríe en mi espejo,
de calavera tiene su sonrisa expresión.

Duerme tú santamente mientras toco el piano,
este monstruo con dientes de nieve y de carbón.

Y tú gato de rico, cumbre de la pereza,
entérate de que hay gatos vagabundos que son
mártires de los niños que a pedradas los matan
y mueren como Sócrates
dándoles su perdón.

“Canción novísima de los gatos” permaneció inédito hasta 1986
www.poetasandaluces.com

La vita è ricca di amorosi incanti, da “Gli amorosi incanti”, Sara Teasdale

La vita è ricca di amorosi incanti,
di splendide visioni luminose –
onde azzurre spumose alle scogliere,
garruli fuochi in lingue scintillanti,
volti di bimbi in estasi sognanti
come coppe imbevute di chimere.

La vita vende gli amorosi incanti,
nella pioggia il pineto profumato –
c’è la musica, un alto arco dorato,
caldi abbracci, devoti sguardi amanti,
delizie dello spirito incorrotte,
visioni come stelle nella notte.

Spendi tutto per doni come questi,
senza pensare al conto della spesa.
Un’ora in pace candida, sicura,
vale di mesi ed anni amara attesa:
per un respiro di estasi pura
dà quel che fosti, o ch’essere potresti.

(Traduzione di Silvio Raffo)

Barter

Life has loveliness to sell,
All beautiful and splendid things,
Blue waves whitened on a cliff,
Soaring fire that sways and sings,
And children’s faces looking up
Holding wonder like a cup.

Life has loveliness to sell,
Music like a curve of gold,
Scent of pine trees in the rain,
Eyes that love you, arms that hold,
And for your spirit’s still delight,
Holy thoughts that star the night.

Spend all you have for loveliness,
Buy it and never count the cost;
For one white singing hour of peace
Count many a year of strife well lost,
And for a breath of ecstasy
Give all you have been, or could be.

Completamente, da “Viole nere”, Tess Gallagher

A quei tempi il mio spirito un’ape –
il mondo, un gigantesco ronzio che sbavava
dolcezza. Dolce da scoppiare.
Amore davanti. Amore sotto di me.

Ma soprattutto, l’estasi contraria
mi rimbalzava dentro – lo sterile fracasso
che l’amore alla fine fa mentre s’avvia al silenzio.

Completamente – esser distrutta nel regno
dei fiori. Completamente fradicia, trafitta
in un vuoto di pace.
Senza ricordare carezza esterna
o tenera occhiata.

È così che succede scontrandosi con l’essenza
senza volto del cuore. Non ci sono contorni. Solo
un invivibile carminio. Solo l’affollato braille
di un’impavida premonizione
che porge goffa l’altra guancia.

(Traduzione di Francesco Duranti)

Utterly

My spirit was a bee in those days –
the world one gigantic buzz, drooling
sweetness. Sweet unto bursting.
Love ahead. Love under me.

But most of all, that contrary ecstasy
ricocheting inside – the barren racket
love finally makes on its way to silence.

Utterly – to be destroyed in the kingdom
of flowers. Utterly sodden, sundered
into a blank of peace.
Not to remember outside caress
or tender look.

It’s like that against the facelessness
of the heart. No contours. Only
unlivable crimson. Only the clustered braille
of a fearless premonition
fumbling the turned cheek.

Pioggia, Federico Garcia Lorca

La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l’anima addormentata del paesaggio.

È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.

È l’aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell’anima tristezza di ciò che non sappiamo.

La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l’illusione inquieta di un domani impossibile
con l’inquietudine vicina del color della carne.

L’amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.

E son le gocce: occhi d’infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.

Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell’acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.

O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!

O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.

Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.

La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all’orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.

O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
da’ all’anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell’anima addormentata del paesaggio!

(Traduzione di Claudio Rendina)

Lluvia

La lluvia tiene un vago secreto de ternura,
algo de soñolencia resignada y amable,
una música humilde se despierta con ella
que hace vibrar el alma dormida del paisaje.

Es un besar azul que recibe la Tierra,
el mito primitivo que vuelve a realizarse.
El contacto ya frío de cielo y tierra viejos
con una mansedumbre de atardecer constante.

Es la aurora del fruto. La que nos trae las flores
y nos unge de espíritu santo de los mares.
La que derrama vida sobre las sementeras
y en el alma tristeza de lo que no se sabe.

La nostalgia terrible de una vida perdida,
el fatal sentimiento de haber nacido tarde,
o la ilusión inquieta de un mañana imposible
con la inquietud cercana del color de la carne.

El amor se despierta en el gris de su ritmo,
nuestro cielo interior tiene un triunfo de sangre,
pero nuestro optimismo se convierte en tristeza
al contemplar las gotas muertas en los cristales.

Y son las gotas: ojos de infinito que miran
al infinito blanco que les sirvió de madre.

Cada gota de lluvia tiembla en el cristal turbio
y le dejan divinas heridas de diamante.
Son poetas del agua que han visto y que meditan
lo que la muchedumbre de los ríos no sabe.

¡Oh lluvia silenciosa, sin tormentas ni vientos,
lluvia mansa y serena de esquila y luz suave,
lluvia buena y pacifica que eres la verdadera,
la que llorosa y triste sobre las cosas caes!

¡Oh lluvia franciscana que llevas a tus gotas
almas de fuentes claras y humildes manantiales!
Cuando sobre los campos desciendes lentamente
las rosas de mi pecho con tus sonidos abres.

El canto primitivo que dices al silencio
y la historia sonora que cuentas al ramaje
los comenta llorando mi corazón desierto
en un negro y profundo pentágrama sin clave.

Mi alma tiene tristeza de la lluvia serena,
tristeza resignada de cosa irrealizable,
tengo en el horizonte un lucero encendido
y el corazón me impide que corra a contemplarte.

¡Oh lluvia silenciosa que los árboles aman
y eres sobre el piano dulzura emocionante;
das al alma las mismas nieblas y resonancias
que pones en el alma dormida del paisaje!

Enero de 1919 – Granada

Rain

The rain has a vague secret of tenderness,
something resignedly and amiably somnolent.
With it there awakes a humble music
that makes the sleeping soul of the landscape vibrate.

It is a blue kiss that the Earth receives,
the primal myth that once again comes true.
The already cold contact of the old sky and earth
with a gentleness like that of a perpetual coming of evening.

It is the dawn of the fruit. The dawn brought to us by the flowers,
anointing us with the holy spirit of the seas.
The dawn that sheds life upon the sown fields
and, in our soul, the sadness of the unknown.

The dreadful nostalgia for a wasted life,
the fatal feeling that you were born too late,
or the restless hope for an impossible morning
with the nearby restlessness of the flesh’s ache.

Love awakens in the gray of its rhythm,
our inner sky enjoys a triumph of blood,
but our optimism is changed to sadness
when we observe the dead drops on the panes.

And the drops are eyes of infinity which gaze
at the white infinity which served them as mother.

Each raindrop trembles on the clouded glass,
leaving behind on it divine diamond-scratches.
They are watery poets who have seen, and meditate on,
that which the multitude of rivers doesn’t know.

O silent rain without tempests or winds,
gentle, calm rain, like sheep bells and soft light,
good, peaceful rain – the real kind –
which falls on every object lovingly and sadly!

O Franciscan rain, carryig in your drops
the souls of bright fountains and humble springs!
When you descend slowly onto the fields
you open the roses of my breast with your sounds.

The primal song you sing to the silence
and the sonorous story you narrate to the boughs
are commented on tearfully by my barren heart
in a black, deep stave of music without a key.

My soul has the sadness of the calm rain,
a resigned sadness for something unattainable;
on my horizon I have a blazing star
but my heart keeps me from running to gaze at it.

O silent rain which the trees love,
you that are sweet execitement on the piano,
you lend my soul the same mist and resonances
which you give to the sleeping soul of the landscape!

(Translated by Stanley Appelbaum)

Lo spirito ama vestirsi così, da “Dream Work” (1998), Mary Oliver

Lo spirito ama vestirsi così:
dieci dita delle mani, dieci dita dei piedi,
le spalle e tutto il resto.
Di notte tra i rami bui,
di giorno tra i rami blu del mondo.
Potrebbe fluttuare, naturalmente,
ma ha preferito piombare nella materia grezza.
Eterea e informe cosa,
ha bisogno della metafora del corpo,
calce e appetito,
i fluidi oceanici;
ha bisogno del mondo della materia,
l’istinto e l’immaginazione,
e dell’oscuro abbraccio del tempo,
della dolcezza e della concretezza
per essere capita,
per essere di più
di luce pura
che brucia dove nessuno è.
Così ci penetra,
la mattina
risplendendo nel riposo del corpo

come punta di fulmine;
e di notte
quando illumina il misterioso e profondo
inabissarsi del corpo,
come una stella.

Poem (the spirit likes to dress up)

The spirit
likes to dress up like this:
ten fingers,
ten toes,

shoulders, and all the rest
at night
in the black branches,
in the morning

in the blue branches
of the world.
It could float, of course,
but would rather

plumb rough matter.
Airy and shapeless thing,
it needs
the metaphor of the body,

lime and appetite,
the oceanic fluids;
it needs the body’s world,
instinct

and imagination
and the dark hug of time,
sweetness
and tangibility,

to be understood,
to be more than pure light
that burns
where no one is –

so it enters us –
in the morning
shines from brute comfort
like a stitch of lightning;

and at night
lights up the deep and wondrous
drownings of the body
like a star.

L’ombra della mia anima, da “Libro de Poemas”, Federico Garcia Lorca

L’ombra della mia anima
fugge in un tramonto di alfabeti,
nebbia di libri
e di parole.
L’ombra della mia anima!
Sono giunto alla linea dove ha termine
la nostalgia,
e la goccia di pianto si muta,
in alabastro di spirito.
(L’ombra della mia anima!)
Il nodo del dolore
si scioglie,
ma resta la ragione e la sostanza
del mio vecchio mezzogiorno di labbra,
del mio vecchio mezzogiorno
di sguardi.
Un labirinto oscuro
di stelle affumicate
confonde il mio sogno
che è come illanguidito.
L’ombra della mia anima!
E un’allucinazione
dispone gli sguardi.
Vedo dissolversi
la parola amore.
Usignolo mio!
Usignolo!
Ancora canti?

(Trad. di Claudio Rendina)

La sombra de mi alma

La sombra de mi alma
Huye por un ocaso de alfabetos,
Niebla de libros
Y palabras.
¡La sombra de mi alma!
He llegado a la línea donde cesa
La nostalgia,
Y la gota de llanto se trasforma,
Alabastro de espíritu.
(¡La sombra de mi alma!)
El copo del dolor
Se acaba,
Pero queda la razón y la sustancia
De mi viejo mediodía de labios,
De mi viejo mediodía
De miradas.
Un turbio laberinto
De estrellas ahumadas
Enreda mi ilusión
Casi marchita.
¡La sombra de mi alma!
Y una alucinación
Me ordeña las miradas.
Veo la palabra amor
Desmoronada.
¡Ruiseñor mío!
¡Ruiseñor!
¿Aún cantas?

Diciembre de 1919, Madrid

Compiendo dieci anni, Billy Collins

L’idea stessa mi fa sentire
come se mi fossi buscato qualcosa,
qualcosa di peggio di tutti i mal di pancia
o mal di testa che mi vengono a leggere con poca luce –
una specie di morbillo dello spirito,
gli orecchioni della psiche,
una deturpante varicella dell’anima.

Mi dici che è troppo presto per guardare indietro,
ma lo dici perché hai dimenticato
la perfetta semplicità di avere un anno
e la bella complessità introdotta dai due.
Ma posso starmene sdraiato a letto e ricordare ogni cifra.
A quattro ero un mago arabo.
Potevo diventare invisibile
bevendo un bicchiere di latte in un certo modo.
A sette ero un soldato, a nove un principe.

Ora invece sto spesso alla finestra
a guardare la luce del tardo pomeriggio.
Allora non spioveva mai così solenne
sul lato della mia casa sull’albero,
e la mia bicicletta non si poggiava mai al garage
come fa oggi,
con tutta la sua velocità blu prosciugata.

Questo è l’inizio della tristezza, mi dico,
mentre attraverso l’universo con le mie scarpe da ginnastica.
È ora di dire addio ai miei amici immaginari,
è ora di girare il primo grande numero.

Mi sembra solo ieri che credevo
che sotto la pelle non ci fosse altro che luce.
Se mi tagliavi non potevo che splendere.
Ma ora quando cado sui marciapiedi della vita,
mi pelo le ginocchia. Sanguino.

On Turning Ten

The whole idea of it makes me feel
like I’m coming down with something,
something worse than any stomach ache
or the headaches I get from reading in bad light–
a kind of measles of the spirit,
a mumps of the psyche,
a disfiguring chicken pox of the soul.

You tell me it is too early to be looking back,
but that is because you have forgotten
the perfect simplicity of being one
and the beautiful complexity introduced by two.
But I can lie on my bed and remember every digit.
At four I was an Arabian wizard.
I could make myself invisible
by drinking a glass of milk a certain way.
At seven I was a soldier, at nine a prince.

But now I am mostly at the window
watching the late afternoon light.
Back then it never fell so solemnly
against the side of my tree house,
and my bicycle never leaned against the garage
as it does today,
all the dark blue speed drained out of it.

This is the beginning of sadness, I say to myself,
as I walk through the universe in my sneakers.
It is time to say good-bye to my imaginary friends,
time to turn the first big number.

It seems only yesterday I used to believe
there was nothing under my skin but light.
If you cut me I could shine.
But now when I fall upon the sidewalks of life,
I skin my knees. I bleed.

Tuffati nei sogni, Edward Estlin Cummings

Tuffati nei sogni
o uno slogan potrebbe farti vacillare
(gli alberi sono le loro radici
e il vento è il vento)
fidati del tuo cuore
se il mare prende fuoco
(e vivi per amore
anche se le stelle scorrono via)
onora il passato
ma accogli il futuro
(ed esorcizza la morte
al tuo matrimonio)
Non preoccuparti di un mondo
con i suoi cattivi ed eroi
(per cose come ragazze, e il domani e la terra)
che nonostante tutto
respira e si muove dal momento che il Fato
(con lunghe e bianche mani
abbellisce le nostre rughe)
ammalierà completamente le nostre menti
– prima di lasciare la mia stanza
mi volto e, (inchinandomi
al mattino) bacio questo cuscino, caro
dove le nostre teste hanno vissuto e hanno riposato.

Se tacitamente, dalla più insignificante e
sconosciuta notte, arriva un’altra esile possibilità
(che è solo di questo mondo) la mia vita
non balza che con il mistero del tuo sorriso
che canta o se (crescendo luminose
mentre cadono nell’oblio) le voci che sono sogni,
la terra nuota certamente meno nel cielo
ad ogni mio più profondo respiro che diventa un tuo bacio
perdendo attraverso te quello che sembravo essere io, trovo
parti che non avrei mai immaginato essere mie; oltre
il dolore c’è la gioia, e oltre la speranza la paura,
tua è la luce che dà vita al mio spirito:
tuo il buio in cui fa ritorno la mia anima
tu sei il mio sole, la mia luna, tutte le mie stelle.

Dive for dreams

Dive for dreams
or a slogan may topple you
(trees are their roots
and wind is wind)
trust your heart
if the seas catch fire
(and live by love
though the stars walk backward)
honour the past
but welcome the future
(and dance your death
away at the wedding)
never mind a world
with its villains or heroes
(for good likes girls
and tomorrow and the earth)
in spite of everything
which breathes and moves, since Doom
(with white longest hands
neating each crease)
will smooth entirely our minds
– before leaving my room
i turn, and (stooping
through the morning) kiss
this pillow, dear
where our heads lived and were.

Silently if, out of not knowable

silently if, out of not knowable
night’s utmost nothing,wanders a little guess
(only which is this world)more my life does
not leap than with the mystery your smile
sings or if (spiraling as luminous
they climb oblivion)voices who are dreams,
less into heaven certainly earth swims
than each my deeper death becomes your kiss
losing through you what seemed myself,i find
selves unimaginably mine;beyond
sorrow’s own joys and hoping’s very fears
yours is the light by which my spirit’s born:
yours is the darkness of my soul’s return
-you are my sun,my moon,and all my stars

Natale sulla terra, tratta dal testo in prosa “Mattino”, Arthur Rimbaud

Dallo stesso deserto,
nella stessa notte,
sempre i miei occhi stanchi si destano
alla stella d’argento,
sempre,
senza che si commuovano i Re della vita,
i tre magi, cuore, anima, spirito. Quando
ce ne andremo di là
dalle rive e dai monti,
a salutare la nascita del nuovo lavoro,
la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni,
la fine della superstizione,
ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!

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Nota:
Ho pubblicato questa poesia trovata in rete nel dicembre 2015 (purtroppo) senza le opportune verifiche.
Recentemente ho “scoperto” che trattasi di una parte dei versi in prosa “Mattino”, che riporto di seguito, scusandomi per aver divulgato una “poesia di Natale” mai scritta da Rimbaud che da alcuni anni viene pubblicata in vari siti/blog.
Precisazione dell’11/01/2019.

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Mattino
Una volta non ebbi forse una giovinezza amabile, eroica, favolosa, da iscrivere su fogli d’oro, – troppa fortuna! Per quale delitto, per quale errore, ho meritato la mia debolezza d’oggi? Voi, che pretendete che le bestie abbiano singhiozzi d’accoramento, che i malati disperino, che i morti sognino male, cercate di raccontare la mia caduta e il mio sonno. Quanto a me, non posso spiegarmi meglio del mendicante con i suoi eterni Pater e Ave Maria. Io no so più parlare!

Oggi, però, credo d’aver finita la relazione del mio inferno. L’inferno, proprio; l’antico, quello di cui il figlio dell’uomo aprì le porte.

Dallo stesso deserto, nella stessa notte, sempre i miei occhi spossati si ridestano alla stella d’argento, sempre, senza che si commuovano i Re della vita, i tre magi, cuore, anima, spirito. Quando mai andremo, di là dai lidi e dai monti, a salutare la nascita nel nuovo lavoro, la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare – per primi! – Natale sulla terra!

Il canto dei cieli, il cammino dei popoli! Schiavi, non malediciamo la vita.

Da: Rimbaud Poesie e prose (1975), pp. 260-261 – Traduzione di Diana Grange Fiori

Matin
N’eus-je pas une fois une jeunesse aimable, héroïque, fabuleuse, à écrire sur des feuilles d’or, – trop de chance ! Par quel crime, par quelle erreur, ai-je mérité ma faiblesse actuelle ? Vous qui prétendez que des bêtes poussent des sanglots de chagrin, que des malades désespèrent, que des morts rêvent mal, tâchez de raconter ma chute et mon sommeil. Moi, je ne puis pas plus m’expliquer que le mendiant avec ses continuels Pater et Ave Maria. Je ne sais plus parler!

Pourtant, aujourd’hui, je crois avoir fini la relation de mon enfer. C’était bien l’enfer ; l’ancien, celui dont le fils de l’homme ouvrit les portes.

Du même désert, à la même nuit, toujours mes yeux las se réveillent à l’étoile d’argent, toujours, sans que s’émeuvent les Rois de la vie, les trois mages, le coeur l’âme, l’esprit. Quand irons-nous, par delà les grèves et les monts, saluer la naissance du travail nouveau, la sagesse nouvelle, la fuite des tyrans et des démons, la fin de la superstition, adorer – les premiers ! – Noël sur la terre !

Le chant des cieux, la marche des peuples ! Esclaves, ne maudissons pas la vie.

Morning
Hadn’t I once a youth that was lovely, heroic, fabulous, something to write down on pages of gold? – I was too lucky! Through what crime, by what fault did I deserve my present weakness? You who imagine that animals sob with sorrow, that the sick despair, that the dead have bad dreams, try now to relate my fall and my sleep. I can explain myself no better than the beggar wth his endless Aves and Pater Nosters. I no longer know how to talk!

And yet, today, I think I have finished this account of my Hell. And it was Hell; the old one, whose gates were opened by the Son of Man.

From the same desert, toward the same dark sky, my tired eyes forever open on the silver star, forever; but the three wise men never stir, the Kings of life, the heart, the soul, the mind. When will we go, over mountains and shores, to hail the birth of new labor, new wisdom, the flight of tyrants and demons, the end of superstition, – to be the first to adore! – Christmas on earth!

The song of the heavens, the marching of nations! We are slaves, let us not curse life!

Translated by Paul Schmidt, and published in 1976 by Harper Colophon Books, Harper & Row