Non so quante anime, da “Il mondo che non vedo” (2009), Fernando Pessoa

Non so quante anime ho.
Ogni momento mutai.
Continuamente mi estranio.
Mai mi vidi né trovai.
Di tanto essere, solo ignoro.
Mi cambiarono sempre il prezzo.
Chi vede è solo quel che vede.
Chi sente non è chi è.

Attento a quel che sono e vedo,
divento loro e non io.
Ogni mio sogno o desiderio,
è di quel che nasce, e non mio.
Sono il mio stesso paesaggio,
assisto al mio passaggio,
diverso, mobile e solo.
Non so sentirmi ove sono.

Per questo, estraneo, leggo
come pagine, la mia vita.
Non prevedendo quel che segue,
dimenticando quel che passò.
Noto a margine di quel che lessi
ciò che pensai aver sentito.
Quel che annotai ero io?
Lo sa Dio, perché scrisse.

(Traduzione di Piero Ceccucci e Orietta Abbate)

Não sei quantas almas tenho

Não sei quantas almas tenho.
Cada momento mudei.
Continuamente me estranho.
Nunca me vi nem achei.
De tanto ser, só tenho alma.
Quem tem alma não tem calma.
Quem vê é só o que vê.
Quem sente não é quem é.

Atento ao que sou e vejo,
Torno-me eles e não eu.
Cada meu sonho ou desejo,
É do que nasce, e não meu.
Sou minha própria paisagem,
Assisto à minha passagem,
Diverso, móbil e só.
Não sei sentir-me onde estou.

Por isso, alheio, vou lendo
Como páginas, meu ser.
O que segue não prevendo,
O que passou a esquecer.
Noto à margem do que li
O que julguei que senti.
Releio e digo, «Fui eu?»
Deus sabe, porque o escreveu.

I don’t know how many souls I have

I don’t know how many souls I have.
I’ve changed at every moment.
I always feel like a stranger.
I’ve never seen or found myself.
From being so much, I have only soul.
A man who has soul has no calm.
A man who sees is just what he sees.
A man who feels is not who he is.

Attentive to what I am and see,
I become them and stop being I.
Each of my dreams and each desire
Belongs to whoever had it, not me.
I am my own landscape,
I watch myself journey –
Various, mobile, and alone.
Here where I am I can’t feel myself.

That’s why I read, as a stranger,
My being as if it were pages.
Not knowing what will come
And forgetting what has passed,
I note in the margin of my reading
What I thought I felt.
Rereading, I wonder: “Was that me?”
God knows, because he wrote it.

Translation: 1998, Richard Zenith
From: Fernando Pessoa & Co. – Selected Poems

Consiglio agli scrittori, da “A vela, in solitaria, attorno alla stanza”, Billy Collins

Anche se ti tiene in piedi per tutta la notte,
lava a fondo le pareti e pulisci i pavimenti
dello studio prima di comporre una sillaba.

Pulisci come se il Papa stesse arrivando.
Il candore è nipote dell’ispirazione.

Più pulisci, più brillante
sarà la tua scrittura, e allora non esitare a prendere
per i campi e a sfregare il fondo
dei sassi o spolverare sui rami più alti
della buia foresta i nidi pieni di uova.

Quando ritroverai la strada di casa
e riporrai spugne e spazzole sotto il lavello
vedrai alla luce dell’alba
l’altare immacolato della tua scrivania,
una superficie pulita al centro di un mondo pulito.

Da un vasetto, azzurro splendente, solleva
una matita gialla, la più appuntita del mazzo,
e ricopri pagine di piccole frasi
come lunghe file di fedeli formiche
che ti hanno seguito fin qui dal bosco.

(Traduzione di Franco Nasi)

Advice to Writers

Even if it keeps you up all night,
wash down the walls and scrub the floor
of your study before composing a syllable.

Clean the place as if the Pope were on his way.
Spotlessness is the niece of inspiration.

The more you clean, the more brilliant
your writing will be, so do not hesitate to take
to the open fields to scour the undersides
of rocks or swab in the dark forest
upper branches, nests full of eggs.

When you find your way back home
and stow the sponges and brushes under the sink,
you will behold in the light of dawn
the immaculate altar of your desk,
a clean surface in the middle of a clean world.

From a small vase, sparkling blue, lift
a yellow pencil, the sharpest of the bouquet,
and cover pages with tiny sentences
like long rows of devoted ants
that followed you in from the woods.

Primo amore, Charles Bukowski

Un tempo
quando avevo 16 anni
c’era solo qualche scrittore
a darmi speranza
e conforto.

a mio padre non piacevano
i libri e
a mia madre neppure
(perchè non piacevano al babbo)
specie i libri che prendevo io
in biblioteca:
D.H. Lawrence
Dostoevskij
Turgenev
Gorkij
A. Huxley
Sinclair Lewis
e altri.

avevo la mia camera da letto
ma alle 8 di sera
bisognava filare tutti a nanna:
“il mattino ha l’oro in bocca,”
diceva mio padre.

poi gridava:
“LUCI SPENTE!”.

allora mettevo la lampada
sotto le coperte
e continuavo a leggere
sotto la luce calda e nascosta:
Ibsen
Shakespeare
Cechov
Jeffers
Thurber
Conrad Aiken
e altri.

mi offrivano una opportunità e qualche speranza
in un posto senza opportunità
speranza,
sentimento.

me la guadagnavo.
faceva caldo sotto le coperte.
qualche volta fumavano le lenzuola
allora spegnevo la lampada,
la tenevo fuori per
raffreddarla.

senza quei libri
non sono del tutto sicuro
di cosa sarei diventato:
delirante;
parricida;
idiota;
buonannulla.

quando mio padre gridava
“LUCI SPENTE!”
son sicuro che lo terrorizzava
la parola ben tornita
e immortalata
una volta per tutte
nelle pagine migliori
della nostra più bella
letteratura.

ed essa era lì
per me
vicina a me
sotto le coperte
più donna di una donna
più uomo di un uomo.

era tutta per me
e io
la presi.

First Love

At one time
when I was 16
a few writers gave me
my only hope and
chance.Continua a leggere…