L’odore dell’inverno, dal racconto “Lo studente”, Anton Čechov

Il tempo dapprincipio fu bello,
calmo. Schiamazzavano i
tordi, e nelle paludi qualcosa di vivo
faceva un brusio, come se
soffiasse in una bottiglia vuota.
Passò a volo una beccaccia e
nell’aria con allegri rimbombi.
Ma quando nel bosco si fece
buio e soffiò da oriente un vento
freddo e penetrante, tutto tacque.
Sulle pozzanghere si allungarono
degli aghetti di ghiaccio.
Il bosco divenne squallido, solitario.
Sì senti l’odore dell’inverno.

Questi versi, da anni pubblicati nel web, non sono di una poesia ma è l’incipit del racconto “The Student” di Anton Cechov, edito per la prima volta il 16 aprile 1894 sul quotidiano Russkie Vedomosti.
Narra di uno studente clericale che torna a casa dopo la caccia in una fredda sera del Venerdì Santo che si ferma davanti a un fuoco e incontra due vedove. Racconta loro la storia della negazione di Pietro nei Vangeli e, al termine, nota che le due donne sono profondamente commosse, portandolo a concludere che la verità e la bellezza siano i connettori di tutta la storia umana: questo lo rende pieno di gioia e stupore per la vita.

Lo studente

Il cielo era dapprima sereno e calmo. I merli cantavano. Nella palude vicina s’udiva il grido lamentoso di un essere animato; sembrava che qualcuno soffiasse in una bottiglia vuota. Passò una beccaccia, uno sparo rimbombò attraverso l’aria primaverile e svegliò un’eco gioiosa. Poi il bosco s’oscurò. Un vento freddo, frizzante, inopportuno, che veniva da Oriente, fece ammutolire ogni cosa. Sulle pozze d’acqua si formarono dei ghiaccioli; il bosco prese un aspetto triste, tetro, inospitale. Si sentiva l’odore dell’inverno.

(Traduzione di A. Polledro)

СТУДЕНТ

Погода вначале была хорошая, тихая. Кричали дрозды, и по соседству в болотах что-то живое жалобно гудело, точно дуло в пустую бутылку. Протянул один вальдшнеп, и выстрел по нем прозвучал в весеннем воздухе раскатисто и весело. Но когда стемнело в лесу, некстати подул с востока холодный пронизывающий ветер, всё смолкло. По лужам протянулись ледяные иглы, и стало в лесу неуютно, глухо и нелюдимо. Запахло зимой.

The Student

In the beginning the day was nice and peaceful. Thrushes were calling out and in the nearby bogs something was plaintively droning, sounding as if the air were blowing into a bottle. As a snipe flew over, a shot sounded out, rumbling after the bird in the spring air. But when darkness was starting to cover the forest, an unseasonable cold and piercing wind blew up out of the east. Icy needle-like lines stretched themselves out over the surfaces of puddles, and in the forest it was getting uncomfortable, remote and lonely. The air smelled of winter.

Editor’s note: This short story by Chekhov has been translated from Russian into English by Vasily Lickwar, a theological student at St. Vladimir’s Seminary in
Crestwood, New York. Published in 1894 in Russian, it is one of Chekhov’s best stories, showing his mastery in evoking an atmosphere and subtly conveying changes of mood. Though not a churchman himself, Chekhov was capable of showing sympathetically the religious approach to life
.

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David Garrett – The Four Seasons: Winter I (by Vivaldi) (Official Music Video)

Giorni, da “A vela in solitaria intorno alla stanza” (2013), Billy Collins

Non c’è dubbio, ciascuno è un dono,
messo misteriosamente fra le tue mani che si svegliano
o disposto sulla tua fronte
un attimo prima che tu apra gli occhi.

L’oggi comincia freddo e luminoso,
il terreno appesantito dalla neve
e dalla spessa muraglia di ghiaccio,
mentre il sole filtra fra torrette di nubi.

Dall’occhio calmo della finestra
tutto è al proprio posto
ma in modo così precario
questo giorno sembra adagiarsi

su quello precedente,
tutti i giorni del passato impilati
come in una impossibile torre di piatti
che i giocolieri costruivano sul palco.

Non c’è da stupirsi se ti ritrovi
appollaiato in cima a un’alta scala
con la speranza di aggiungerne un altro.
Solo un altro mercoledì,

sussurri,
poi trattenendo il fiato,
metti questa tazza sul piattino di ieri
senza il minimo tintinnio.

(Traduzione di Franco Nasi)

Days

Each one is a gift, no doubt,
mysteriously placed in your waking hand
or set upon your forehead
moments before you open your eyes.

Today begins cold and bright,
the ground heavy with snow
and the thick masonry of ice,
the sun glinting off the turrets of clouds.

Through the calm eye of the window
everything is in its place
but so precariously
this day might be resting somehow

on the one before it,
all the days of the past stacked high
like the impossible tower of dishes
entertainers used to build on stage.

No wonder you find yourself
perched on the top of a tall ladder
hoping to add one more.
Just another Wednesday,

you whisper,
then holding your breath,
place this cup on yesterday’s saucer
without the slightest clink.

Paesaggio invernale con corvi, Sylvia Plath

L’acqua del canale, da una chiusa in pietra,
si getta dentro quello stagno nero
dove, fuori stagione, assurdamente,
un cigno solitario, casto come neve,
galleggia, dileggio per la mente
opaca, che brama di trascinarne
a fondo il riflesso bianco.

Il sole, l’occhio arancio di un ciclope,
austero, scende dietro l’acquitrino,
non si degna di ammirare più a lungo
una simile desolazione;
nere piume di pensieri, mi aggiro come un corvo,
tetra, nella tenebra che cala
invernale.

I giunchi dell’estate scorsa sono fissi
nel ghiaccio come la figura
di te nel mio occhio; arido gelo
imbrina la finestra della mia ferita;
che conforto verrà dalla roccia
se la percuoteremo, perché si rinverdisca
il deserto del cuore?
Chi vorrebbe
addentrarsi in questo squallore?

(Traduzione di Marco Malvestio)

Winter landscape, with rooks

Water in the millrace, through a sluice of stone,
plunges headlong into that black pond
where, absurd and out-of-season, a single swan
floats chaste as snow, taunting the clouded mind
which hungers to haul the white reflection down.

The austere sun descends above the fen,
an orange cyclops-eye, scorning to look
longer on this landscape of chagrin;
feathered dark in thought, I stalk like a rook,
brooding as the winter night comes on.

Last summer’s reeds are all engraved in ice
as is your image in my eye; dry frost
glazes the window of my hurt; what solace
can be struck from rock to make heart’s waste
grow green again? Who’d walk in this bleak place?

Piccole parole, da “Sale” (1962), Wislawa Szymborska

La Pologne? La Pologne? Deve esserci un freddo terribile, vero?”
mi ha chiesto, e ha tirato un sospiro di sollievo. Infatti sono saltati fuori tanti di quei paesi che la cosa migliore è parlare del clima.
“Oh, signora,” vorrei risponderle “i poeti del mio paese scrivono in guanti. Non dico che non se li tolgano mai; quando la luna scalda, allora sì. In strofe composte di grida tonanti, perché solo questo penetra attraverso il mugghio della tempesta, cantano l’esistenza semplice dei pastori di foche. I classici incidono con ghiaccioli d’inchiostro su cumuli di neve calpestati. Gli altri, i decadenti, piangono sul destino con stelline di neve. Chi si vuole annegare deve avere una scure per fare un buco nel ghiaccio. Oh, signora, mia cara signora!”

E’ così che vorrei risponderle. Ma ho dimenticato come si dice foca in francese. Non sono sicura del ghiacciolo e del buco nel ghiaccio.

La Pologne? La Pologne? Deve esserci un freddo terribile, vero?”
Pas du tout” rispondo glacialmente.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Vocabulary

La Pologne? La Pologne? Isn’t it terribly cold there?” she asked, and then sighed with relief. So many countries have been turning up lately that the safest thing to talk about is climate.

“Madame,” I want to reply, “my people’s poets do all their writing in mittens. I don’t mean to imply that they never remove them; they do, indeed, if the moon is warm enough. In stanzas composed of raucous whooping, for only such can drown the windstorms’ constant roar, they glorify the simple lives of our walrus herders. Our Classicists engrave their odes with inky icicles on trampled snowdrifts. The rest, our Decadents, bewail their fate with snowflakes instead of tears. He who wishes to drown himself must have an ax at hand to cut the ice. Oh, madame, dearest madame.

That’s what I mean to say. But I’ve forgotten the word for walrus in French. And I’m not sure of icicle and ax.

La Pologne? La Pologne? Isn’t it terribly cold there?”
Pas du tout” I answer icily.

(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)

Fuoco e ghiaccio, da “Conoscenza della notte e altre poesie” (1965), Robert Frost

Dicono alcuni che finirà nel fuoco
Il mondo; altri, nel ghiaccio.
Del desiderio ho gustato quel poco
Che mi fa scegliere il fuoco.
Ma se dovesse due volte finire,
So pure che cosa è odiare,
E per la distruzione posso dire
Che anche il ghiaccio è terribile
E può bastare.

(Traduzione di Giovanni Giudici)

Fire and Ice

Some say the world will end in fire,
Some say in ice.
From what I’ve tasted of desire
I hold with those who favor fire.
But if it had to perish twice,
I think I know enough of hate
To know that for destruction ice
Is also great
And would suffice.