Voglio finire tra le rose, perché le ho amate nell’infanzia. I crisantemi successivi, li ho sfogliati a freddo. Parlino poco, lentamente. Che io non oda, soprattutto col pensiero. Cosa volli? Ho le mani vuote, contratte flebilmente sulla coltre lontana. Cosa pensai? Ho la bocca secca, astratta. Cosa vissi? Era così bello dormire!
(Da “Poesie Scelte” a cura di Luigi Panarese, Passigli Editori 2006)
Quero acabar entre rosas, porque as amei na infância
Quero acabar entre rosas, porque as amei na infância. Os crisântemos de depois, desfolhei-os a frio. Falem pouco, devagar, Que eu não oiça, sobretudo com o pensamento. O que quis? Tenho as mãos vazias, Crispadas flebilmente sobre a colcha longínqua. O que pensei? Tenho a boca seca, abstracta. O que vivi? Era tão bom dormir!
8-12-1931 Poesias de Álvaro de Campos. Fernando Pessoa. Lisboa: Ática, 1944 (imp. 1993). – 86. 1ª publ. in Descobrimento. Lisboa: Inverno 1931-1932.
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Capricho Arabe (F. Tárrega) – Alexandra Whittingham
voi facce vuote facce vuote inespressive che ridete per niente… lasciatevi raccontare ho bevuto dentro stanze nei bassifondi con avvinazzati imbecilli che avevano obiettivi migliori che avevano occhi con ancora un po’ di luce che avevano voci con un rimasuglio di gentilezza, e quando si faceva mattina stavamo male ma non eravamo malati, eravamo poveri ma non illusi, e ci buttavamo a letto e ci alzavamo il pomeriggio tardi come i milionari.
(Traduzione di Simona Viciani)
short non-moon shots to nowhere
you no faces no faces at all laughing at nothing – let me tell you i have drank in skidrow rooms with imbecile winos whose cause was better whose eyes still held some light whose voices retained some sensibility, and when the morning came we were sick but not ill, poor but not deluded, and we stretched in our beds and rose in the late afternoons like millionaires.
Poesia apparsa in “Jeopardy 6”, marzo 1970. Pubblicata nella raccolta“Mockingbird Wish Me Luck”, 1972. Inedita in Italia.
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Dan Tepfer’s Natural Machines Ep. 8: Canon at the Octave / MetricMod
Uno dei talenti straordinari della sua generazione, Dan Tepfer si è guadagnato una reputazione internazionale come pianista-compositore di ampia ambizione, individualità e grinta, uno “che rifiuta di porsi dei limiti” (il francese Télérama ). Il Tepfer di New York City, nato nel 1982 a Parigi da genitori americani, si è esibito in tutto il mondo con alcuni dei protagonisti del jazz e della musica classica e ha pubblicato dieci album. (Dal sito dantepfer.com)
La mente non è una matita per prendere appunti, è una gomma per cancellare. Marko Vešović
Mio padre andò perdendo poco a poco il linguaggio. E iniziò dai nomi. La prima cosa che il suo cervello scordò non furono gli avverbi né i pronomi o gli aggettivi, come si sarebbe tentati di credere, e nemmeno i granelli di polvere delle preposizioni, ma i sostantivi.
La mela smise di essere mela, il bicchiere diventò quello e chi gli si avvicinava smetteva di chiamarsi.
La morte cominciò il suo minuzioso lavoro rubandogli i nomi, cancellandoli, mettendo al loro posto un questo, o un quella cosa, un dammi, un balbettio, un gesto della mano.
Gli ultimi che si perdono sono i verbi, i verbi che si muovono nel sangue come fossero pesci finché il mondo finisce, finché il corpo non regge più l’anima.
Gli aggettivi sono affettuosi, vestono delle loro passioni quel che guardano e perciò sopravvivono.
I nomi invece svaniscono. E la sostanza dei sostantivi è nebbia, fuoco di paglia, torri di fumo.
La mela smette di essere mela. Io smetto di chiamarmi. La parola dolore non significa nulla.
(Traduzione di Danilo Manera)
Nombres borrados
La mente no es un lápiz para tomar apuntes, es una goma de borrar. Marko Vešović
Mi padre fue perdiendo poco a poco el lenguaje. Y empezó por los nombres. Lo primero que olvidó su cerebro no fueron los adverbios ni los pronombres ni los adjetivos, como uno estaría tentado de creer, ni las motas de polvo de las preposiciones, sino los sustantivos.
La manzana dejó de ser manzana, el vaso pasó a ser eso, y quienes se acercaban dejaban de llamarse.
La muerte comenzó su labor minuciosa robándole los nombres, borrándolos, poniendo en su lugar un esto o un aquello, un dame, un balbuceo, un gesto de la mano.
Lo último que se pierde son los verbos, los verbos que se mueven en la sangre como si fuesen peces hasta que acaba el mundo, hasta que ya no puede el cuerpo con su alma.
Los adjetivos son afectuosos, visten con sus pasiones lo que miran y por eso perviven.
Pero los nombres se esfuman. Y la sustancia de los sustantivos es agua de borrajas, niebla, torres de humo.
La manzana deja de ser manzana. Yo dejo de llamarme. La palabra dolor no significa nada.
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Mao Fujita – Tchaikovsky: Romance Op. 5 (Live from Tanzsaal an der Panke, Berlin)
David Garrett spielt den 1. Satz: “Allegro moderato” aus dem Violinkonzert Op.35/D Major von Peter Tschaikowski – Conductor: Riccardo Chailly, Filarmonica Della Scala – George Enescu Festival Bukarest 2017