Tienimi per mano, da “Poesie d’amore”, Hermann Hesse

Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…
Tienimi per mano…
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano…
nei giorni in cui mi sento disorientato…
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate…
Tienimi la mano,
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te…
Tienimi per mano e non lasciarmi andare…
mai…

Questa poesia è stata scritta in italiano. Hermann Hesse  (poeta tra i più sensibili del novecento premio Nobel per la letteratura) visse a Montagnola (Ticino) dal 1919 sino alla fine della sua vita nel 1962 e fu per questo in grado di scrivere i versi contenuti nel libro “Poesie d’amore” in italiano. Quindi non c’è un “originale” tedesco di questa poesia.

Hold my hand

Hold my hand at sunset,
when the light of day goes out and darkness slips his cloth of stars.
Keep it tight, when I can not live this imperfect world.
Hold my hand,
take me where time does not exist.
Keep it close in hard living.
Hold my hand,
in the days when I feel disoriented,
sing me the song of the stars, sweet singsong voices breathe.
Hold my hand,
and clasp her strong, before the insolent fate would take me away from you.
Hold my hand and not let go,
ever.

(Traduzione: dal web)

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“Le Jazz de V” Live Clip – (16 giu 2023)

Giardino d’inverno, da “Dalla vita degli oggetti – Poesie 1983-2005” (2012), Adam Zagajewski

In questa piccola città nera, la tua città,
dove anche i treni si fermano senza voltar la testa,
senza distogliersi dai destini finali,
nel parco, a dispetto di ombre e di caligini,
c’è un grigio edificio dall’interno perlato.

Dimentica la neve, i duri attacchi del gelo,
qui ti accoglie l’umida antologia dell’aria tropicale
e il misterioso fruscio di foglie smisurate
avviluppate come pigri serpenti –
neppure un egittologo saprebbe decifrarle.

Dimentica la tristezza delle strade anonime e degli stadi,
il peso delle domeniche riuscite male.
Accogli il respiro caldo che soffia dalle piante.
Un profumo lieve di lampi scoloriti
ti avvolgerà, ti condurrà laggiù, lontano.

Forse vedrai le vele rugginose di navi all’ancora,
isole ricamate di nebbia rosa, torri di templi diroccati;
vedrai ciò ch’è perduto, ciò che non c’era,
ma pure quanti vivono la tua
stessa vita.

Vedrai d’un tratto il mondo sotto una diversa luce,
i cancelli di case estranee per un istante si apriranno,
i pensieri nascosti diverranno visibili, le feste meno fastidiose,
la gioia altrui sarà più comprensibile, più belli i volti.

Dimentica te stesso, lasciati abbagliare dall’incanto,
dimentica tutto e forse tornerà una memoria
più profonda e una più profonda fratellanza,
e dirai: non so, non so com’è successo –
le palme hanno aperto il mio avido cuore.

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

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Welcome to the Black Parade (David Garrett Edition / Millennium Symphony New York Studio Session) – Première trasmessa il giorno 8 nov 2024

Séance, da “La fine e l’inizio” (1993), Wislawa Szymborska

Il caso svela i suoi trucchi.
Tira fuori dalla manica un bicchiere di cognac,
e ci mette a sedere sopra Henryk.
Entro nel bistrò e resto di stucco.
Henryk non è altri che
il fratello del marito di Agnieszka,
e Agnieszka è parente
del cognato di zia Zosia.
Parlando è venuto fuori un bisnonno in comune.

Fra le dita del caso lo spazio
si srotola e arrotola,
si allarga e si restringe.
Un attimo fa era una tovaglia,
ed è già un fazzoletto.
Indovina chi ho incontrato,
e dove, in Canada,
e dopo tutti questi anni.
Pensavo fosse morto,
ed eccolo là, su una Mercedes.
Sull’aereo per Atene.
Nello stadio a Tokyo.

Il caso gira fra le mani un caleidoscopio.
Vi luccicano miliardi di vetrini colorati.
E d’un tratto il vetrino di Hänsel
sbatte contro il vetrino di Gretel.
Figurati, nello stesso albergo.
Faccia a faccia nell’ascensore.
In un negozio di giocattoli.
All’angolo fra la via Szewska e la Jagiallonska.

Il caso è avvolto in un mantello.
Vi si perdono e ritrovano cose.
Mi ci sono imbattuta senza volerlo.
Mi sono chinata e ho raccolto.
Guardo, ed era un cucchiaio
di quel servizio rubato.
Non fosse stato per il braccialetto,
non avrei riconosciuto Ola,
e quell’orologio l’ho trovato a Plock.

Il caso ci guarda a fondo negli occhi.
La testa comincia a farsi pesante.
Ci si chiudono le palpebre.
Ci vien voglia di ridere e piangere,
è davvero incredibile –
dalla quarta B a quella nave,
deve esserci un senso.
Ci vien voglia di gridare:
com’è piccolo il mondo,
com’è facile afferrarlo
a braccia aperte!
E per un attimo ancora ci colma una gioia
raggiante e illusoria.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

The Seance

Chance shows her tricks.
She pulls a glass of cognac from her sleeve
and seats Henry on it.
I enter the bar and stand dumbfounded.
It’s Henry and no one else
than the brother of Agnes’ husband,
and Agnes is a relative
of Sophie’s aunt’s brother-in-law.
It turned out that we have a great grandfather in common.

Space in the fingers of fortune
expands and contracts,
lengthens and shortens.
It was just a tablecloth
and now it’s like a handkerchief.
Guess whom I met,
and where, in Canada,
anf after how many years!
I thought he was no longer living,
and he’s in a Mercedes.
Or on a plane to Athens.
Or in a stadium in Tokyo.

Chance turns a kaleidoscope in her hands.
Billions of colored glass particles flash.
Suddenly Hansel’s piece of glass
crashes with Gretel’s.
Imagine, in the same hotel.
Face to face in the elevator.
In the toy shop.
At the corner of Szewska and Jagiellonska Streets.

Chance is wrapped in the cape.
Things are lost and found again.
I came across something involuntarily.
I bent down and picked it up.
I look, and it’s that spoon
from a stolen set.
If it weren’t for the bracelet
I would not have recognized Ola,
and I happened on that clock in Plock.

Chance gazes deeply into our eyes.
Our heads begin to get heavy.
Our eyelids droop.
We feel like laughing and weeping,
for it’s incredible —
from the fourth B on this ship,
there must be something to it.
We feel like screaming
how small the world is,
how easy to grasp
with open arms.
For a short while yet we are filled with joy,
both illuminating and deceiving.

(Translated from Polish by Walter Whipple)

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角野隼斗 – Chopin:Heroic Polonaise (FUJI ROCK 22)

La felicità rende in altezza ciò che le manca in lunghezza, da “Fuoco e ghiaccio” (2022), Robert Frost

O furioso furioso mondo,
i giorni in cui non fosti travolto
da vortici di nuvole e nebbie
o come in un sudario avvolto
e la palla brillante del sole
non fu in parte o tutta
oscurata alla vista mortale –
furono così pochi giorni
che mi domando da dove
mi venga il senso costante
di così tanta luce e calore.
Se è giusta la mia sfiducia
potrebbe venir tutto
da un giorno col tempo perfetto,
quando aprendosi limpido all’aurora
il giorno dilagò limpidamente
per poi finire limpido alla sera.
In verità io credo che la mia
bella impressione sia
tutta di quel sol giorno
senza ombre se non le nostre
mentre tra i fiori accesi in un tripudio
ci spostavamo dalla casa al bosco
tanto per cambiare solitudine.

(Traduzione di Silvia Bre)

Happiness Makes Up in Height For What It Lacks in Length

Oh, stormy stormy world,
The days you were not swirled
Around with mist and cloud,
Or wrapped as in a shroud,
And the sun’s brilliant ball
Was not in part or all
Obscured from mortal view—
Were days so very few
I can but wonder whence
I get the lasting sense
Of so much warmth and light.
If my mistrust is right
It may be altogether
From one day’s perfect weather,
When starting clear at dawn,
The day swept clearly on
To finish clear at eve.
I verily believe
My fair impression may
Be all from that one day
No shadow crossed but ours
As through its blazing flowers
We went from house to wood
For change of solitude.

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Rhapsody in Blue by Hayato Sumino & Yutaka Sado (Conductor) – December 2022 – Composed by George Gershwin, Arranged by Ferde Grofé

Pianista e compositore giapponese, a soli 27 anni, Hayato Sumino si è costruito una solida reputazione nella musica classica attirando l’attenzione come musicista di un nuovo tipo, che si concentra su tutta la musica al di là dei generi.
Dopo aver suonato in diverse prestigiose orchestre in Giappone (Yomiuri Nippon Symphony orchestra, Tokyo Philharmonic Orchestra), si esibisce da solista dal 2019.
Conosciuto anche come “Cateen” su Youtube con più di 1M di iscritti, esegue sia sue composizioni che opere di grandi maestri della musica classica (Chopin, Rachmaninoff) dal jazz al pop, a film d’animazione come quelli dello Studio Ghibli.

Non occorre titolo, da “La fine e l’inizio” (1993), Wislawa Szymborska

Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in una mattina assolata.
E’ un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi degni di memoria.

Comunque siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da una qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
esattamente come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.

Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato,
il suo venerdì prima del sabato,
il suo maggio prima di giugno.
Ha i suoi orizzonti non meno reali
di quelli nel cannocchiale dei capitani.

Quest’albero è un pioppo radicato da anni.
Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri.
Il sentiero è tracciato fra i cespugli
non dall’altro ieri.
Il vento per soffiare via le nuvole
prima ha dovuto spingerle qui.

E anche se nulla di rilevante accade intorno,
non per questo il mondo è più povero di particolari,
peggio fondato, meno definito
di quando lo invadevano i popoli migranti.

Il silenzio non accompagna solo i complotti,
né il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi non solo gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.

Fitto e intricato è il ricamo delle circostanze.
Il punto della formica nell’erba.
L’erba cucita alla terra.
Il disegno dell’onda in cui si infila un fuscello.

Si dà il caso che io sia qui e guardi.
Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria
ali che sono solamente sue
e sulle mani mi vola un’ombra,
non un‘altra, non d’un altro, ma solo sua.

A tale vista mi abbandona sempre la certezza
che ciò che è importante
sia più importante di ciò che non lo è.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

No Title Required 

It’s come to this: I’m sitting under a tree,
beside a river
on a sunny morning.
It’s an insignificant event
and won’t go down in history.
It’s not battles and pacts,
whose motives are scrutinized,
or noteworthy tyrannicides.

And yet I’m sitting by this river, that’s a fact.
And since I’m here,
I must have come from somewhere,
and before that
I must have turned up in many other places,
exactly like the conquerors of nations
before setting sail.

Even a passing moment has its fertile past,
its Friday before Saturday,
its May before June.
Its horizons are no less real
than those a marshal’s fieldglasses might scan.

This tree is a poplar that’s been rooted here for years.
The river is the Raba; it didn’t spring up yesterday.
The path leading through the bushes
wasn’t beaten last week.
The wind had to blow the clouds here
before it could blow them away.

And though nothing much is going on nearby,
the world’s no poorer in details for that,
it’s just as grounded, just as definite
as when migrating races held it captive.

Conspiracies aren’t the only things shrouded in silence.
Retinues of reasons don’t trail coronations alone.
Anniversaries of revolutions may roll around,
but so do oval pebbles encircling the bay.

The tapestry of circumstance is intricate and dense.
Ants stitching in the grass.
The grass sewn into the ground.
The pattern of a wave being needled by a twig.

So it happens that I am and look.
Above me a white butterfly is fluttering through the air
on wings that are its alone
and a shadow skims through my hands
that is none other, no one else’s, but its own.

When I see such things I’m no longer sure
that what’s important
is more important than what’s not.

(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)

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Beatrice Rana – Stravinsky: The Firebird: Danse Infernale25 ott 2019

Trascritto per pianoforte da Guido Agosti, il mitico Uccello di fuoco di Stravinskij assume un nuovo suono sotto la maestria di Beatrice Rana.
Le radici di Beatrice in Puglia, Lecce rappresentano parte integrante della sua arte. In questo video, Lecce assume il ruolo di protagonista: le scene dell’esplorazione di Beatrice stessa, giocando con gli elementi che la circondano, perdendosi tra città e natura, si intrecciano con immagini di ascoltatori attenti, occhi chiusi, orecchie sintonizzate sulla colonna sonora che guida questa esperienza: la danza infernale di Stravinskij.

Sotto il cielo della libertà, da “Gitanjali – Song Offerings” (1910), Rabindranath Tagore

Dove la mente non conosce paura e la testa si tiene alta;
dove il sapere è libero;
dove il mondo non è frazionato da anguste pareti domestiche;
dove le parole sgorgano dalle profondità del vero;
dove lo sforzo instancabile tende le braccia verso la perfezione;
dove il limpido ruscello della ragione non ha deviato
nel monotono deserto sabbioso delle vecchie abitudini;
dove la mente è a Te indirizzata verso pensieri e azioni sempre più vasti;
sotto tal cielo di libertà, Padre mio, fa che il mio popolo si desti.

Where the mind is without fear

Where the mind is without fear and the head is held high
Where knowledge is free
Where the world has not been broken up into fragments
By narrow domestic walls
Where words come out from the depth of truth
Where tireless striving stretches its arms towards perfection
Where the clear stream of reason has not lost its way
Into the dreary desert sand of dead habit
Where the mind is led forward by thee
Into ever-widening thought and action
Into that heaven of freedom, my Father, let my country awake.

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Anoushka Shankar e Patricia Kopatchinskaja – Raga Piloo – Konzerthaus Berlin,  23 aprile 2016

Anoushka Shankar e Patricia Kopatchinskaja in questa esibizione alla Konzerthaus di Berlino omaggiano il violinista e direttore d’orchestra di fama mondiale Yehudi Menuhin, che avrebbe festeggiato il suo centesimo compleanno il 22 aprile 2016.
Come suo padre Ravi Shankar, Anoushka è un’abile suonatrice di sitar virtuoso. È una figura singolare nelle scene della world music indiana classica e progressiva. Il suo talento ha ottenuto numerosi prestigiosi riconoscimenti, tra cui cinque nomination ai Grammy Award.
In questa occasione, lei e il suo ensemble si esibiscono in musica indiana e raga, cinquant’anni dopo la registrazione dell’album cult di Yehudi Menuhin e Ravi Shankar “West Meets East”.
Il concerto include un’apparizione come ospite speciale della violinista Patricia Kopatchinskaja.

Scorcio di secolo, da “Gente sul ponte”(1986), Wislawa Szymborska

Doveva essere migliore degli altri il nostro ventesimo secolo.
Non farà più in tempo a dimostrarlo,
ha gli anni contati,
il passo malfermo,
il fiato corto.

Sono ormai successe troppe cose
che non dovevano succedere,
e quel che doveva arrivare
non è arrivato.

Ci si doveva avviare verso la primavera
e la felicità, tra l’altro.

La paura doveva abbandonare i monti e le valli.
La verità doveva raggiungere la meta
prima della menzogna.

Alcune sciagure
non dovevano più accadere,
ad esempio la guerra
e la fame, e così via.

Doveva essere rispettata
l’inermità degli inermi,
la fiducia e via dicendo.

Chi voleva gioire del mondo
si trova di fronte a un’impresa
impossibile.

La stupidità non è ridicola.
La saggezza non è allegra.
La speranza
non è più quella giovane ragazza
et cetera, purtroppo.

Dio doveva finalmente credere nell’uomo
buono e forte,
ma il buono e il forte
restano due esseri distinti.

Come vivere? – mi ha scritto qualcuno
a cui io intendevo fare
la stessa domanda.

Da capo, e allo stesso modo di sempre,
come si è visto sopra,
non ci sono domande più pressanti
delle domande ingenue.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

The Century’s Decline

Our twentieth century was going to improve on the others.
It will never prove it now,
now that its years are numbered,
its gait is shaky,
its breath is short.

Too many things have happened
that weren’t supposed to happen,
and what was supposed to come about
has not.

Happiness and spring, among other things,
were supposed to be getting closer.

Fear was expected to leave the mountains and the valleys.
Truth was supposed to hit home
before a lie.

A couple of problems weren’t going
to come up anymore:
humger, for example,
and war, and so forth.

There was going to be respect
for helpless people’s helplessness,
trust, that kind of stuff.

Anyone who planned to enjoy the world
is now faced
with a hopeless task.

Stupidity isn’t funny.
Wisdom isn’t gay.

Hope
isn’t that young girl anymore,
et cetera, alas.

God was finally going to believe
in a man both good and strong,
but good and strong
are still two different men.

“How should we live?” someone asked me in a letter.
I had meant to ask him
the same question.

Again, and as ever,
as may be seen above,
the most pressing questions
are naïve ones.

(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)

Stelle d’inverno, da “Flame and Shadow” (1920), Sara Teasdale

Sono uscita di notte, da sola;
Il sangue giovane che scorreva al di là del mare
Sembrava aver infradiciato le ali del mio spirito –
Duramente sopportavo il mio dolore.

Ma quando ho sollevato la testa
Dalle ombre tremanti sulla neve,
Ho visto Orione, verso est,
Brillare costante come un tempo.

Dalle finestre della casa di mio padre,
Sognando i miei sogni nelle notti d’inverno,
Guardavo Orione quand’ero bambina
Al di sopra delle luci di un’altra città.

Passano gli anni, passano i sogni, passa anche la giovinezza
Il cuore del mondo sotto il peso delle sue guerre si spezza,
Tutto è cambiato, tranne, verso est,
La fedele bellezza delle stelle.

Winter Stars

I went out at night alone;
The young blood flowing beyond the sea
Seemed to have drenched my spirit’s wings—
I bore my sorrow heavily.

But when I lifted up my head
From shadows shaken on the snow,
I saw Orion in the east
Burn steadily as long ago.

From windows in my father’s house,
Dreaming my dreams on winter nights,
I watched Orion as a girl
Above another city’s lights.

Years go, dreams go, and youth goes too,
The world’s heart breaks beneath its wars,
All things are changed, save in the east
The faithful beauty of the stars.

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Dutch harpist and composer Remy van Kesteren performs Nils Frahm’s “Hammers” from his album “Tomorrow Eyes” live at Yellow Lounge in Berlin, April 2019

Mondo splendido, Hermann Hesse

Sempre e poi sempre,
o vecchio o giovane torno a avvertire:
una montagna notturna e al balcone una donna silenziosa,
bianca una strada al chiaro di luna
in lieve pendio
e ciò mi lacera il cuore nel petto atterrito di struggimento.
O mondo ardente,
o tu chiara donna al balcone,
cane che abbai nella valle,
treno lontano che passi,
come mentite, come atroci ingannate me ancora,
e pur tuttavia voi siete sempre il mio sogno e delirio più dolce.
Spesso ho tentato la strada per la tremenda “realtà”
dove hanno valore mode,
assessori, leggi, e denaro,
ma solitario mi sono involato,
deluso e liberato,
verso là dove sogno e beata follia zampilla.
Afoso vento notturno negli alberi,
scura zigana,
mondo ricolmo di nostalgia pazza e profumo di poesia,
mondo splendente,
di cui sono schiavo eternamente,
dove a me guizzano i tuoi bagliori,
dove riecheggia per me la tua voce.

(Traduzione di Patrizio Sanasi)
Testo tedesco “O brennende Welt”di Hermann Hesse, scritto nel 1917, Archivio LiederNet

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Rencontre”, Nicoletta Manni – Roberto Bolle

Crepuscolo d’autunno, da”Gli amorosi incanti” (2010), Sara Teasdale

Su una distesa di colline, un mare,
vidi un pianeta, solo, scintillare.
Nessuno, né vicino, né lontano,
poteva il mondo togliermi di mano.

(Traduzione di Silvio Raffo)

Autumn Dusk

I saw above a sea of hills
A solitary planet shine,
And there was no one near or far
To keep the world from being mine.

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Yuja Wang: Gershwin Rhapsody in Blue [HD] – Camerata Salzburg conducted by Lionel Bringuier Salzburger Festspiele, Aug 12 2016