Autoritratto, da “Dalla vita degli oggetti. Poesie” (1983-2005), Adam Zagajewski

Tra computer, matita e macchina da scrivere passa
metà della mia giornata. Col tempo farà mezzo secolo.
Abito in città straniere e talvolta parlo
con sconosciuti di cose indifferenti.
Ascolto molta musica: Bach, Mahler, Šostakovič, Chopin.
Vi trovo tre elementi, forza, debolezza, dolore.
Il quarto non ha nome.
Leggo i poeti, i vivi e i morti, da loro apprendo
costanza, fede e orgoglio. Cerco di capire
i grandi filosofi – ma di solito riesco
ad afferrare solo brandelli dei loro preziosi pensieri.
Amo fare lunghe passeggiate per le strade di Parigi
e guardare i miei simili, animati dalla gelosia,
dalla brama o dall’ira, osservare la moneta d’argento
che passa di mano in mano e lentamente perde
la sua forma rotonda (si usura il profilo dell’imperatore).
Accanto crescono gli alberi, e nulla esprimono,
a parte la verde, indifferente perfezione.
Sui campi volteggiano uccelli neri
che attendono pazienti come vedove spagnole.
Non sono più giovane, ma c’è ancora chi è più vecchio di me.
Amo il sonno profondo, quando non ci sono,
la corsa veloce in bicicletta per la campagna, quando i pioppi
e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno.
Talvolta mi parlano i quadri nei musei
e allora l’ironia svanisce all’improvviso.
Adoro osservare il volto di mia moglie.
Ogni domenica telefono a mio padre.
Ogni due settimane incontro gli amici,
in questo modo restiamo fedeli gli uni agli altri.
Il mio paese si è liberato da un male. Vorrei
che a ciò seguisse ancora un’altra liberazione.
Potrei in ciò essere d’aiuto? Non so.
Non sono un vero figlio del mare,
come scrisse di sé Antonio Machado,
ma figlio dell’aria, della menta e del violoncello
e non tutte le strade del mondo alto
incrociano i sentieri della vita che, per ora,
mi appartiene.

(Traduzione di Krystyna Jaworska)

Self-Portrait

Between the computer, a pencil, and a typewriter
half my day passes. One day it will be half a century.
I live in strange cities and sometimes talk
with strangers about matters strange to me.
I listen to music a lot: Bach, Mahler, Chopin, Shostakovich.
I see three elements in music: weakness, power, and pain.
The fourth has no name.
I read poets, living and dead, who teach me
tenacity, faith, and pride. I try to understand
the great philosophers–but usually catch just
scraps of their precious thoughts.
I like to take long walks on Paris streets
and watch my fellow creatures, quickened by envy,
anger, desire; to trace a silver coin
passing from hand to hand as it slowly
loses its round shape (the emperor’s profile is erased).
Beside me trees expressing nothing
but a green, indifferent perfection.
Black birds pace the fields,
waiting patiently like Spanish widows.
I’m no longer young, but someone else is always older.
I like deep sleep, when I cease to exist,
and fast bike rides on country roads when poplars and houses
dissolve like cumuli on sunny days.
Sometimes in museums the paintings speak to me
and irony suddenly vanishes.
I love gazing at my wife’s face.
Every Sunday I call my father.
Every other week I meet with friends,
thus proving my fidelity.
My country freed itself from one evil. I wish
another liberation would follow.
Could I help in this? I don’t know.
I’m truly not a child of the ocean,
as Antonio Machado wrote about himself,
but a child of air, mint and cello
and not all the ways of the high world
cross paths with the life that—so far—
belongs to me.

From Mysticism for Beginners by Adam Zagajewski, translated by Claire Cavanagh

Dolce luce, da “Orientarsi con le stelle”, Raymond Carver

Dopo l’inverno dolorante e cupo,
sono rifiorito qui a primavera. Una dolce luce

ha preso a riempirmi il petto. Ho portato fuori
una sedia. Sono rimasto seduto per ore davanti al mare.

Ho ascoltato i segnali della boa e ho appreso
la differenza che passa tra una campana

e il suono di una campana. Ho deciso di gettarmi
tutto alle spalle. Ho perfino deciso

di diventare disumano. E ci sono riuscito.
Lo so che ci sono riuscito. (Ve lo confermerà anche lei.)

Ricordo ancora quando ho sbattuto il coperchio
sui ricordi e ho tirato il catenaccio.

Rinchiudendoli per sempre.
Nessuno sa che cosa m’è successo

quaggiù, o mare. Solo io e te.
Di notte, le nuvole nascondono la luna.

Al mattino non ci sono più. E quella dolce luce
che v’ho detto? Anche quella non c’è più.

(Traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante)

Sweet Light

After the winter, grieving and dull,
I flourished here all spring. Sweet light

began to fill my chest. I pulled up
a chair. Sat for hours in front of the sea.

Listened to the buoy and learned
to tell the difference between a bell

and the sound of a bell. I wanted
everything behind me. I even wanted

to become inhuman. And I did that.
I know I did. (She’ll back me up on this.)

I remember the morning I closed the lid
on memory and turned the handle.

Locking it away forever.
Nobody knows what happened to me

out here, sea. Only you and I know.
At night, clouds form in front of the moon.

By morning they’re gone. And that sweet light
I spoke of? That’s gone too.

 

Mela di mare, Juan Vicente Piqueras

Io sarei il maschio e tu la femmina
vestita di tormenta.
Dormiresti
nel palmo del mare più impensato,
diadema di altra luce nei tuoi capelli,
e nelle mani remote
la sabbia fuggitiva
di noi due, deserti e felici.
Vivremmo lontano, dimentichi
del tempo, ora, in cui fummo schiavi
della nostra paura e di questo mondo
sicario assurdo al soldo della morte.
L’isola è in noi
in attesa
che la rabbia maturi e ci porti via.
Io sarei il maschio e tu la femmina.
La memoria sarebbe una mela.

(Traduzione di Raffaella Marzano)

Manzana de mar

Yo sería un varon e tú una hembra
vestida de tormenta.
Dormirías
en la palma del mar menos pensado,
diadema de otra luz en tus cabellos,
y en las manos remotas
la arena fugitiva
de nosotros, desiertos y felices.
Viviríamos lejos, olvidados
Del tempo, ahora, en que éramos esclavos,
de nuestro proprio miedo y de este absurdo
mundo, sicario a sueldo de la muerte.
La isla está en nosotros
Guardando
Que la rabia madure y se nos lleve.
Yo sería el varón y tú la hembra.
La memoria sería una manzana.

Un inno per l’occhio, Jorge Debravo

Io dico che se l’anima ha un posto,
quel posto è l’occhio.
L’occhio che alimenta il nostro amore
e la nostra gioia.

L’uomo stesso, l’uomo
tutto fuoco e sorpresa,
non potrebbe essere uomo
senza l’occhio.

La vita, il mare, il cielo,
tutto era una vaga maceria,
fino a che un giorno l’occhio riunì tutto ciò ch’era vivo
e lo avvicinò ai volti.

Tutta l’eternità venne giustificata
il giorno che tutte le cose più vive della vita
si fecero pozzo di sorpresa
nell’occhio.

(Traduzione di Alessio Brandolini)

Un himno para el ojo

Yo digo que si el alma tiene un sitio,
ese sitio es el ojo.
El ojo que sustenta nuestro amor
y nuestro gozo.

El hombre mismo, el hombre
todo fuego y asombro,
no podría ser hombre
sin el ojo.

La vida, el mar, el cielo,
todo era un vago escombro,
hasta que un día el ojo reunió todo lo vivo
y lo acercó a los rostros.

Toda la eternidad quedó justificada
el día que lo más vivo de la vida
se hizo pozo de asombros
en el ojo.

Le isole fortunate, Fernando Pessoa

Quale voce giunge sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
E’ la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché si è ascoltato.

E solo se, mezzo addormentati,
senza sapere di udire, udiamo,
essa ci dice la speranza
cui, come un bambino
dormiente, dormendo sorridiamo.

Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno sito,
ove il Re dimora aspettando.
Ma, se ci andiamo svegliando,
tace la voce, e c’è solo il mare.

(Da “Poesie scelte” Fernando Pessoa – Passigli Editori – Traduzione Luigi Panarese)

As Ilhas Afortunadas

Que voz vem no som das ondas
Que não é a voz do mar?
É a voz de alguém que nos fala,
Mas que, se escutarmos, cala,
Por ter havido escutar.

E só se, meio dormindo,
Sem saber de ouvir, ouvimos,
Que ela nos diz a esperança
A que, como uma criança
Dormente, a dormir sorrimos.

São ilhas afortunadas
São terras sem ter lugar,
Onde o Rei mora esperando.
Mas, se vamos despertando,
Cala a voz, e há só o mar.

Questa mattina, Raymond Carver

Questa mattina è stata portentosa. Un po’ di neve
copriva il terreno. Il sole galleggiava in un limpido
cielo azzurro. Anche il mare era azzurro e verde azzurro
fino all’orizzonte.
Neanche un’increspatura. Calmo. Mi sono vestito e sono
uscito
a fare una passeggiata – deciso a non tornare indietro
prima d’aver assorbito tutto quello che la Natura aveva da
offrirmi.
Sono passato accanto a vecchi alberi curvi.
Ho attraversato un campo disseminato di pietre
dove la neve s’era ammucchiata in banchi. Ho proseguito
fino ad arrivare alla scogliera.
Da lì ho guardato il mare e il cielo e
i gabbiani che volteggiavano sulla spiaggia bianca
laggiù. Tutto bello. Tutto immerso in una luce
pura e fredda. Ma poi, al solito, i miei pensieri
hanno cominciato a vagare. Con uno sforzo di volontà
ho cercato di vedere quel che vedevo
e nulla più. Mi sono dovuto dire che era questo
che contava, non le altre cose. (E ci sono riuscito,
per qualche istante!) Per qualche istante
sono riuscito a scacciare i soliti pensieri su
quel che è giusto o sbagliato – il dovere,
i teneri ricordi, i pensieri di morte, come dovrei comportarmi
con la mia ex moglie. Tutte le cose
che speravo sparissero questa mattina.
Le cose con cui convivo ogni giorno. Quel che
ho calpestato per continuare a vivere.
Per qualche istante mi sono distratto
da me stesso e da tutto il resto. Ne sono sicuro.
Perché quando mi sono voltato non sapevo più
dov’ero. Finché alcuni uccelli non si sono alzati
dagli alberi contorti. E sono volati
nella direzione in cui dovevo andare.

(Traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante)

This Morning

This morning was something. A little snow
lay on the ground. The sun floated in a clear
blue sky. The sea was blue, and blue-green,
as far as the eye could see.
Scarcely a ripple. Calm. I dressed and went
for a walk — determined not to return
until I took in what Nature had to offer.
I passed close to some old, bent-over trees.
Crossed a field strewn with rocks
where snow had drifted. Kept going
until I reached the bluff.
Where I gazed at the sea, and the sky, and
the gulls wheeling over the white beach
far below. All lovely. All bathed in a pure
cold light. But, as usual, my thoughts
began to wander. I had to will
myself to see what I was seeing
and nothing else. I had to tell myself this is what
mattered, not the other. (And I did see it,
for a minute or two!) For a minute or two
it crowded out the usual musings on
what was right, and what was wrong — duty,
tender memories, thoughts of death, how I should treat
with my former wife. All the things
I hoped would go away this morning.
The stuff I live with every day. What
I’ve trampled on in order to stay alive.
But for a minute or two I did forget
myself and everything else. I know I did.
For when I turned back i didn’t know
where I was. Until some birds rose up
from the gnarled trees. And flew
in the direction I needed to be going.

Avverbi di luogo, da “Adverbios de lugar” (2004), Juan Vicente Piqueras

Qui è dove sto io. Dovunque sia
io sempre sono qui, dove mi vedi.
Questa casa, queste facce, queste cose
stancano perché il qui stanca.
Qui fa venir sete di andarsene, sete di lì.
Ma lì è il luogo in cui mai potrò stare,
in cui io sono impossibile. Dovunque vada,
là dove arrivi diventerà qui
e starò già aspettando me stesso
con un mazzo di rose uguali nella mano.

Lì è il tuo qui.
Lì sembra un grido perché è dove ti fa male.
Io voglio essere lì, dove sei tu,
tu qui o, meglio, tutti e due laggiù, remoti, insieme,
perché è vivo quel che è insieme.
Lì c’è l’amore che non c’è qui.
Quelle cose toccate dalle tue mani,
quello che pensi, dici, taci, sogni,
quei luoghi in cui stai senza di me,
quello desidero, di quello ho bisogno.
Ed essere il tuo lì, il tuo respiro dentro.

Laggiù è la salvezza, il miraggio
nato dalla sete di star qui.
Laggiù sì che saremmo felici,
dove il tuo qui e il mio lì starebbero insieme,
e vivrebbero per sempre felici e contenti.
Laggiù c’è quella pioggia
che cade su questa lana assetata.
Laggiù è Jauja, l’Eldorado. Non ci sono parole
che possono dare l’idea di quel luogo.
Le parole sono queste, mai quelle.

Io sto qui e tu lì e laggiù noi quando.
Questo è pietra. Quello è seta. Quello laggiù è mare.

Qui, dimora impossibile, intima assenza,
odiato domicilio, carcere di ogni giorno.

Lì, calore del tu, tu vita mia,
tesoro della tua isola, aria di amore.

Laggiù, dove non siamo, piove sopra la vita
che giammai sarà nostra e che aspetta.

(Traduzione di Raffaella Marzano)

Adverbios de lugar

Aquí es donde estoy yo. Esté donde esté
yo siempre estoy aquí donde me ves.
esta casa, estas caras, estas cosas
cansan, porque aquí cansa
aquí hace sed de irse, sed de allí
pero allí es el lugar donde jamás podré estar,
donde yo soy imposible. Vaya adonde vaya,
allá donde yo llegue será aquí
y estaré ya esperándome a mí mismo
con un ramo de rosas iguales en la mano.

Ahí es tu aquí.
Ahí parece un grito porque es donde te duele.
Yo quiero estar ahí, donde estás tú,
tú aquí o, mejor, los dos allí, remotos, juntos
porque lo vivo es lo junto.
Ahí hay el amor que no hay aquí.
Esas cosas tocadas por tus manos,
eso que piensas, dices, callas, sueñas,
esos lugares donde estás sin mí,
eso deseo, eso necesito
y ser tu ahí, tu aliento intercalado.

Allí es la salvación, el espejismo
nacido de la sed de estar aquí.
Allí sí que seríamos felices,
donde tu aquí y mi ahí estarían juntos,
comerían perdices que no existen.
Allí es la lluvia aquella
que cae sobre este páramo sediento.
Allí es Jauja, el Dorado. No hay palabras
que puedan dar idea de aquel sitio.
Las palabras son éstas, nunca aquéllas.

Yo esoty aquí y tú ahí y allá nosotros cuándo.
Eso es piedra. Eso es seda. Aquello es mar.

Aquí, hogar imposible, íntima ausencia,
odiado domicio, cárcel del cada día.

Ahí, calor del tú, tu vida mía,
tesoro de tu isla, aire de amor.

Allí, donde no estamos, llueve sobre la vida
que nunca será nuestra y nos aguarda.

Ode alla speranza, Pablo Neruda

Crepuscolo marino,
in mezzo
alla mia vita,
le onde come uve,
la solitudine del cielo,
mi colmi
e mi trabocchi,
tutto il mare,
tutto il cielo,
movimento
e spazio,
i battaglioni bianchi
della schiuma,
la terra color arancia,
la cintura
incendiata
del sole in agonia,
tanti
doni e doni,
uccelli
che vanno verso i loro sogni,
e il mare, il mare,
aroma
sospeso,
coro di sale sonoro,
e nel frattempo,
noi,
gli uomini,
vicino all’acqua,
che lottiamo
e speriamo
vicino al mare,
speriamo.

Le onde dicono alla costa salda:
Tutto sarà compiuto.

Oda a la esperanza

Crepúsculo marino,
en medio
de mi vida,
las olas como uvas,
la soledad del cielo,
me llenas
y desbordas,
todo el mar,
todo el cielo,
movimiento
y espacio,
los batallones blancos
de la espuma,
la tierra anaranjada,
la cintura
incendiada
del sol en agonía,
tantos
dones y dones,
aves
que acuden a sus sueños,
y el mar, el mar,
aroma
suspendido,
coro de sal sonora,
mientras tanto,
nosotros,
los hombres,
junto al agua,
luchando
y esperando,
junto al mar,
esperando.

Las olas dicen a la costa firme:
“Todo será cumplido”.

Ode to hope

Oceanic dawn
at the center
of my life.
Waves like grapes,
the sky’s solitude,
you fill me
and flood
the complete sea,
the undimished sky,
tempo
and space,
seafoam’s white
battalions,
the orange earth,
the sun’s
fiery waist
in agony,
so many
gifts and talents,
birds soaring into their dreams,
and the sea, the sea,
suspended
aroma,
chorus of rich, resonant salt,
and meanwhile,
we men,
touch the water,
struggling and hoping,
we touch the sea
hoping.

And the waves tell the firm coast:
“Everything will be fulfilled”.

Utopia, da “Grande numero” (1976), Wislawa Szymborska

Isola dove tutto si chiarisce.

Qui ci si può fondare su prove.

L’unica strada è quella d’accesso.

Gli arbusti si piegano sotto le risposte.

Qui cresce l’albero della Giusta Ipotesi
Con rami da sempre districati.

Di abbagliante linearità è l’albero del Senno
presso la fonte detta Ah Dunque E’ Così.

Più ti addentri nel bosco, più si allarga
la Valle dell’Evidenza.

Se sorge un dubbio, il vento lo disperde.

L’Eco prende la parola senza farsi chiamare
e chiarisce volenterosa i misteri dei mondi.

A destra una grotta in cui giace il Senso.

A sinistra il lago della Profonda Convinzione.
Dal fondo si stacca la Verità e viene lieve a galla.

Domina sulla valle la Certezza Incrollabile.
Dalla sua cima si spazia sull’Essenza delle Cose.

Malgrado le sue attrattive l’isola è deserta,
e le tenui orme visibili sulle rive
sono tutte dirette verso il mare.

Come se da qui si andasse soltanto via,
immergendosi irrevocabilmente nell’abisso.

Nella vita inconcepibile.

(Traduzione di Pietro Marchesani)

Utopia

Island where all becomes clear.
Solid ground beneath your feet.

The only roads are those that offer access.

Bushes bend beneath the weight of proofs.

The Tree of Valid Supposition grows here
with branches disentangled since time immermorial.

The Tree of Understanding, dazzling straight and simple.
sprouts by the spring called Now I Get It.

The thicker the woods, the vaster the vista:
the Valley of Obviously.

If any doubts arise, the wind dispels them instantly.

Echoes stir unsummoned
and eagerly explain all the secrets of the worlds.

On the right a cave where Meaning lies.

On the left the Lake of Deep Conviction.
Truth breaks from the bottom and bobs to the surface.

Unshakable Confidence towers over the valley.
Its peak offers an excellent view of the Essence of Things.

For all its charms, the island is uninhabited,
and the faint footprints scattered on its beaches
turn without exception to the sea.

As if all you can do here is leave
and plunge, never to return, into the depths.

Into unfathomable life.

From “A large number”, 1976
Translated by S. Baranczak & C. Cavanagh

Mare lontano, Pedro Salinas

Se non è il mare, è la sua immagine,
la sua figura, rovesciata, nel cielo.

Se non è il mare, è la sua voce
sottile,
attraverso il vasto mondo,
amplificata dal vento.

Se non è il mare, è il suo nome
in una lingua senza labbra,
senza luogo,
senza altra parola che questa:
mare.

Se non è il mare, è la sua idea
di fuoco, impenetrabile, pura;
e io,
ardente, affogo in lei.

Mar distante

Si no es el mar, si es su imagen,
su estampa, vuelta, en el cielo.
Si no es el mar, si es tu voz
delgada,
a través del ancho mundo,
en altavoz, por los aires.
Si no es el mar, si es su nombre
en un idioma sin labios,
sin pueblo,
sin más palabra que ésta:
mar.
Si no es el mar, si es su idea
de fuego, insondable, limpia;
y yo,
ardiendo, ahogándome en ella.