Ad alcuni cioè non a tutti. E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. Senza contare le scuole, dove è un obbligo, e i poeti stessi, ce ne saranno forse due su mille.
Piace – ma piace anche la pasta in brodo, piacciono i complimenti e il colore azzurro, piace una vecchia sciarpa, piace averla vinta, piace accarezzare un cane.
La poesia – ma cos’è mai la poesia? Più d’una risposta incerta è stata già data in proposito. Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo come alla salvezza di un corrimano.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
Some People Like Poetry
Some people— that means not everyone. Not even most of them, only a few. Not counting school, where you have to, and poets themselves, you might end up with something like two per thousand.
Like— but then, you can like chicken noodle soup, or compliments, or the color blue, your old scarf, your own way, petting the dog.
Poetry— but what is poetry anyway? More than one rickety answer has tumbled since that question first was raised. But I just keep on not knowing, and I cling to that like a redemptive handrail.
(Translated by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)
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Hayato Sumino: “New Birth” Questo video musicale è stato girato al Seoul Sky Observatory (118° piano), Corea(23 nov. 2022)
Il caso svela i suoi trucchi. Tira fuori dalla manica un bicchiere di cognac, e ci mette a sedere sopra Henryk. Entro nel bistrò e resto di stucco. Henryk non è altri che il fratello del marito di Agnieszka, e Agnieszka è parente del cognato di zia Zosia. Parlando è venuto fuori un bisnonno in comune.
Fra le dita del caso lo spazio si srotola e arrotola, si allarga e si restringe. Un attimo fa era una tovaglia, ed è già un fazzoletto. Indovina chi ho incontrato, e dove, in Canada, e dopo tutti questi anni. Pensavo fosse morto, ed eccolo là, su una Mercedes. Sull’aereo per Atene. Nello stadio a Tokyo.
Il caso gira fra le mani un caleidoscopio. Vi luccicano miliardi di vetrini colorati. E d’un tratto il vetrino di Hänsel sbatte contro il vetrino di Gretel. Figurati, nello stesso albergo. Faccia a faccia nell’ascensore. In un negozio di giocattoli. All’angolo fra la via Szewska e la Jagiallonska.
Il caso è avvolto in un mantello. Vi si perdono e ritrovano cose. Mi ci sono imbattuta senza volerlo. Mi sono chinata e ho raccolto. Guardo, ed era un cucchiaio di quel servizio rubato. Non fosse stato per il braccialetto, non avrei riconosciuto Ola, e quell’orologio l’ho trovato a Plock.
Il caso ci guarda a fondo negli occhi. La testa comincia a farsi pesante. Ci si chiudono le palpebre. Ci vien voglia di ridere e piangere, è davvero incredibile – dalla quarta B a quella nave, deve esserci un senso. Ci vien voglia di gridare: com’è piccolo il mondo, com’è facile afferrarlo a braccia aperte! E per un attimo ancora ci colma una gioia raggiante e illusoria.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
The Seance
Chance shows her tricks. She pulls a glass of cognac from her sleeve and seats Henry on it. I enter the bar and stand dumbfounded. It’s Henry and no one else than the brother of Agnes’ husband, and Agnes is a relative of Sophie’s aunt’s brother-in-law. It turned out that we have a great grandfather in common.
Space in the fingers of fortune expands and contracts, lengthens and shortens. It was just a tablecloth and now it’s like a handkerchief. Guess whom I met, and where, in Canada, anf after how many years! I thought he was no longer living, and he’s in a Mercedes. Or on a plane to Athens. Or in a stadium in Tokyo.
Chance turns a kaleidoscope in her hands. Billions of colored glass particles flash. Suddenly Hansel’s piece of glass crashes with Gretel’s. Imagine, in the same hotel. Face to face in the elevator. In the toy shop. At the corner of Szewska and Jagiellonska Streets.
Chance is wrapped in the cape. Things are lost and found again. I came across something involuntarily. I bent down and picked it up. I look, and it’s that spoon from a stolen set. If it weren’t for the bracelet I would not have recognized Ola, and I happened on that clock in Plock.
Chance gazes deeply into our eyes. Our heads begin to get heavy. Our eyelids droop. We feel like laughing and weeping, for it’s incredible — from the fourth B on this ship, there must be something to it. We feel like screaming how small the world is, how easy to grasp with open arms. For a short while yet we are filled with joy, both illuminating and deceiving.
Tanto mondo a un tratto da tutto il mondo: morene, murene e marosi e mimose, e il fuoco e il fuco e il falco e il frutto – come e dove potrò mettere il tutto? Queste foglie e scaglie, questi merli e tarli, lamponi e scorpioni – dove sistemarli? Lapilli, mirtilli, berilli e zampilli – grazie, ma ce n’è fin sopra i capelli. Dove andranno questo tripudio e trifoglio, tremore e cespuglio e turgore e scompiglio? Dove porti un ghiro e nascondi l’oro, che fare sul serio dell’uro e del toro? Già il biossido è cosa ben preziosa e cara, aggiungi la piovra, e in più la zanzara! Immagino il prezzo, benché esagerato – grazie, io davvero non l’ho meritato. Non è troppo per me il sole, l’aurora? Che cosa può farne l’umana creatura? Sono qui un istante, un solo minuto: non saprò del dopo, non l’avrò vissuto. Come distinguere il tutto dal vuoto? Dirò addio alle viole nel viaggio affrettato. Pur la più piccola – è una spesa folle: fatica di stelo, e il petalo, e il pistillo, una volta, da mai, a caso sulla Terra, sprezzante e precisa, fragile e altera.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
Compleanno è una poesia squisita, piena di esuberanza, allegria e meraviglia, così piena dei doni di Dio. Il compleanno non è di un individuo ma della serie di nascite collettive che avvengono sulla terra…
Urodziny
Tyle naraz’wiata ze wszystkich stron swiata: moreny, mureny i morza, i zorze, io ogień, io ogon, io orzeł, io orzech – jak ja a ustawię, gdzie ja a położę? Te chaszcze i paszcze, io leszcze, io deszcze, bodziszki, modliszki – gdzie ja to pomieszczę? Motyle, goryle, beryle i trele – dziękuję, to chyba o wiele za wiele, Do dzbanka jakiego tam łopian i łopot, io łubin, io popłoch, io przepych, io kłopot? Gdzie zabrać kolibra, gdzie ukryć a srebro, co zrobić na serio z tym żubrem i zebrą? Już taki dwutlenek rzecz ważna i droga, a tu ośmiornica i jeszcze stonoga! Domyślam się ceny, choć cena z gwiazd zdarta – dziekuję, doprawdy nie czuję się warta. Nie szkoda to dla mnie zachodu i słońca? Jak ma się w per bawić osoba żyjąca? Na chwilę tu jestem i tylko na chwilę: co dalsze, przeoczę, a resztę pomylę. Nie zdążę wszystkiego odrożnić od próżni. Pogubię te bratki w pośpiechu podróżnym. Jużc hoćby najmniejszy – szalony wydatek: fatyga łodygi io listek, io płatek raz jeden w przestrzeni, od nigdy, na oślep, wzgardliwie dokładny i kruchy wyniośle.
Birthday
So much world all at once – how it rustles and bustles! Moraines and morays and morasses and mussels, The flame, the flamingo, the flounder, the feather – How to line them all up, how to put them together? All the tickets and crickets and creepers and creeks! The beeches and leeches alone could take weeks. Chinchillas, gorillas, and sarsaparillas – Thanks do much, but all this excess of kindness could kill us. Where’s the jar for this burgeoning burdock, brooks’ babble, Rooks’ squabble, snakes’ quiggle, abundance, and trouble? How to plug up the gold mines and pin down the fox, How to cope with the linx, bobolinks, strptococs! Tale dioxide: a lightweight, but mighty in deeds: What about octopodes, what about centipedes? I could look into prices, but don’t have the nerve: These are products I just can’t afford, don’t deserve. Isn’t sunset a little too much for two eyes That, who knows, may not open to see the sun rise? I am just passing through, it’s a five-minute stop. I won’t catch what is distant: what’s too close, I’ll mix up. While trying to plumb what the void’s inner sense is, I’m bound to pass by all these poppies and pansies. What a loss when you think how much effort was spent perfecting this petal, this pistil, this scent for the one-time appearance, which is all they’re allowed, so aloofly precise and so fragilely proud.
(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)
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Danzón No. 2 – Alondra de la Parra dirigiendo la POA, de Arturo Márquez HD (True sync)
Danzón No. 2, capolavoro del compositore messicano Arturo Márquez e icona del repertorio sinfonico messicano degli ultimi tempi, eseguito dall’Orchestra Filarmonica delle Americhe con la direzione di Alondra de la Parra. Revolution Tour 2010 “Auditorium Nazionale Città del Messico La mia Anima Messicana”.
Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero, sulla sponda d’un fiume in una mattina assolata. E’ un evento futile e non passerà alla storia. Non si tratta di battaglie e patti di cui si studiano le cause, né di tirannicidi degni di memoria.
Comunque siedo su questa sponda, è un fatto. E se sono qui, da una qualche parte devo pur essere venuta, e in precedenza devo essere stata in molti altri posti, esattamente come i conquistatori di terre lontane prima di salire a bordo.
Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato, il suo venerdì prima del sabato, il suo maggio prima di giugno. Ha i suoi orizzonti non meno reali di quelli nel cannocchiale dei capitani.
Quest’albero è un pioppo radicato da anni. Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri. Il sentiero è tracciato fra i cespugli non dall’altro ieri. Il vento per soffiare via le nuvole prima ha dovuto spingerle qui.
E anche se nulla di rilevante accade intorno, non per questo il mondo è più povero di particolari, peggio fondato, meno definito di quando lo invadevano i popoli migranti.
Il silenzio non accompagna solo i complotti, né il corteo delle cause solo le incoronazioni. Possono essere tondi non solo gli anniversari delle insurrezioni, ma anche i sassolini in parata sulla sponda.
Fitto e intricato è il ricamo delle circostanze. Il punto della formica nell’erba. L’erba cucita alla terra. Il disegno dell’onda in cui si infila un fuscello.
Si dà il caso che io sia qui e guardi. Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria ali che sono solamente sue e sulle mani mi vola un’ombra, non un‘altra, non d’un altro, ma solo sua.
A tale vista mi abbandona sempre la certezza che ciò che è importante sia più importante di ciò che non lo è.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
No Title Required
It’s come to this: I’m sitting under a tree, beside a river on a sunny morning. It’s an insignificant event and won’t go down in history. It’s not battles and pacts, whose motives are scrutinized, or noteworthy tyrannicides.
And yet I’m sitting by this river, that’s a fact. And since I’m here, I must have come from somewhere, and before that I must have turned up in many other places, exactly like the conquerors of nations before setting sail.
Even a passing moment has its fertile past, its Friday before Saturday, its May before June. Its horizons are no less real than those a marshal’s fieldglasses might scan.
This tree is a poplar that’s been rooted here for years. The river is the Raba; it didn’t spring up yesterday. The path leading through the bushes wasn’t beaten last week. The wind had to blow the clouds here before it could blow them away.
And though nothing much is going on nearby, the world’s no poorer in details for that, it’s just as grounded, just as definite as when migrating races held it captive.
Conspiracies aren’t the only things shrouded in silence. Retinues of reasons don’t trail coronations alone. Anniversaries of revolutions may roll around, but so do oval pebbles encircling the bay.
The tapestry of circumstance is intricate and dense. Ants stitching in the grass. The grass sewn into the ground. The pattern of a wave being needled by a twig.
So it happens that I am and look. Above me a white butterfly is fluttering through the air on wings that are its alone and a shadow skims through my hands that is none other, no one else’s, but its own.
When I see such things I’m no longer sure that what’s important is more important than what’s not.
(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)
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Beatrice Rana – Stravinsky: The Firebird: Danse Infernale – 25 ott 2019
Trascritto per pianoforte da Guido Agosti, il mitico Uccello di fuoco di Stravinskij assume un nuovo suono sotto la maestria di Beatrice Rana. Le radici di Beatrice in Puglia, Lecce rappresentano parte integrante della sua arte. In questo video, Lecce assume il ruolo di protagonista: le scene dell’esplorazione di Beatrice stessa, giocando con gli elementi che la circondano, perdendosi tra città e natura, si intrecciano con immagini di ascoltatori attenti, occhi chiusi, orecchie sintonizzate sulla colonna sonora che guida questa esperienza: la danza infernale di Stravinskij.
C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita. È tutto in ordine dentro e attorno a lui. Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi il come il dove e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute, getta i fatti superflui nel tritadocumenti, e le persone ignote dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve, non un attimo in più, perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita, lascia la postazione dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio – per fortuna mi passa.
(Traduzione di Silvano De Fanti)
Są tacy, którzy
Są tacy, którzy sprawniej wykonują życie. Mają w sobie i wokół siebie porządek. Na wszystko sposób i słuszną odpowiedź. Odgadują od razu kto kogo, kto z kim, w jakim celu, którędy. Przybijają pieczątki do jedynych prawd, wrzucają do niszczarek fakty niepotrzebne, a osoby nieznane do z góry przeznaczonych im segregatorów. Myślą tyle, co warto, ani chwilę dłużej, bo za tą chwilą czai się wątpliwość. A kiedy z bytu dostaną zwolnienie, opuszczają placówkę wskazanymi drzwiami. Czasami im zazdroszczę – na szczęście to mija.
There Are Those Who
There are those who conduct life more precisely. The keep order within and around them. A way for everything, and a right answer.
The guess straight off who’s with who, who’s got who, to what end, in what direction.
They set their stamp on single truths, toss unnecessary facts into the shredder and unfamiliar persons into previously designated files.
They think as long as it takes, not a second more, since doubt lies lurking behind that second.
And when they’re dismissed from existence, they leave their place of work through the appropriately marked exit.
Perché mai a tal punto singolare? Questa e non quella? E qui che ci sto a fare? Di martedì? In una casa e non nel nido? Pelle e non squame? Non foglia, ma viso? Perché di persona una volta soltanto? E sulla terra? Con una stella accanto? Dopo tante ere di non presenza? Per tutti i tempi e tutti gli ioni? Per i vibrioni e le costellazioni? E proprio adesso? Fino all’essenza? Sola da me e con me? Perché mi chiedo, non a lato, né a miglia di distanza, non ieri, né cent’anni addietro, siedo e guardo un angolo buio della stanza come, rizzato il capo, sta a guardare la cosa ringhiante che chiamano cane?
(Traduzione di Pietro Marchesani)
Lo “stupore” di Wislawa Szymborska tradotto anche come “meraviglia”, è una semplice poesia di sedici versi in cui la poetessa pone una serie di domande sul motivo per cui esiste in questo mondo nella forma in cui esiste. Il poema profondamente filosofico pone dieci domande sul sé umano, sul posto di una persona nel mondo e sulla natura dell’esistenza, ma non offre risposte a questi enigmi. Piuttosto, c’è qualche suggerimento sul fatto che a queste domande metafisiche non si possa rispondere affatto e che la migliore risposta al mondo complesso e imperscrutabile sia quella dello stupore perché l’atto di porre domande non si avvicina allo svelare i misteri dell’esistenza.
Astonishment
Why after all this one and not the rest? Why this specific self, not in a nest, but a house? Sewn up not in scales, but skin? Not topped off by a leaf, but by a face? Why on earth now, on Tuesday of all days, and why on earth, pinned down by this star’s pin? In spite of years of my not being here? In spite of seas of all these dates and fates, these cells, celestials and coelenterates? What is it really that made me appear neither an inch nor half a globe too far, neither a minute nor aeons too early? What made me fill myself with me so squarely? Why am I staring now into the dark and muttering this unending monologue just like the growling thing we call a dog?
(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)
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Igor Stravinsky: Le Sacre du printemps (revised version from 1947) / Sir Simon Rattle, conductor · Berliner Philharmoniker / Recorded at the Berlin Philharmonie, 9 November 2012
Qualche zolla di terra, e la vita sarà dimenticata. La musica si libererà dalle circostanze. Si calmerà la tosse del maestro sui minuetti. E saranno tolti i cataplasmi. Il fuoco divorerà la parrucca piena di polvere e pidocchi. Spariranno le macchie d’inchiostro dal polsino di pizzo. Finiranno tra i rifiuti le scarpe, scomode testimoni. Il violino verrà preso dall’allievo meno dotato. Saranno tolti dagli spartiti i conti del macellaio. Le lettere della povera madre finiranno in pancia ai topi. L’amore sfortunato svanirà nel nulla. Gli occhi smetteranno di lacrimare. Il nastro rosa servirà alla figlia dei vicini. I tempi, grazie a Dio, non sono ancora romantici. Tutto ciò che non è quartetto come quinto sarà scartato. Tutto ciò che non è quintetto come sesto sarà soffiato via. Tutto ciò che non è un coro di quaranta angeli tacerà come guaito di cane e singulto di gendarme. Verrà tolto dalla finestra il vaso con l’aloe, il piatto con il moschicida e il vasetto di pomata, e apparirà – ma sì – la vista sul giardino, il giardino che lì non c’era mai stato. E ora ascoltate, ascoltate, o mortali, stupefatti tendete attenti l’orecchio, o assorti, o stupiti, o rapiti mortali, ascoltate – ascoltatori – mutati in udito.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
Klasyk
Kilka grud ziemi a będzie zapomniane życie. Muzyka wyswobodzi się z okoliczności. Ucichnie kaszel mistrza nad menuetami. I oderwane będą kataplazmy. Ogień strawi perukę pełną kurzu i wszy. Znikną plamy inkaustu z koronkowego mankietu. Pójdą na śmietnik trzewiki, niewygodni świadkowie. Skrzypce zabierze sobie uczeń najmniej zdolny. Powyjmowane będą z nut rachunki od rzeźnika. Do mysich brzuchów trafią listy biednej matki. Unicestwiona zgaśnie niefortunna miłość. Oczy przestaną łzawić. Różowa wstążka przyda się córce sąsiadów. Czasy, chwalić Boga, nie są jeszcze romantyczne. Wszystko, co nie jest kwartetem, będzie jako piąte odrzucone. Wszystko, co nie jest kwintetem, będzie jako szóste zdmuchnięte. Wszystko, co nie jest chórem czterdziestu aniołów, zmilknie jako psi skowyt i czkawka żandarma. Zabrany będzie z okna wazon z aloesem, talerz z trutką na muchy i słoik z pomadą, i odsłoni się widok – ależ tak! – na ogród, ogród, którego nigdy tu nie było. No i teraz słuchajcie, słuchajcie, śmiertelni, w zdumieniu pilnie nadstawiajcie ucha, o pilni, o zdumieni, o zasłuchani śmiertelni, słuchajcie – słuchający – zamienieni w słuch.
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Tchaikovsky: Symphony No.5 In E Minor, Op.64, TH.29 – 4. Finale (Andante maestoso – Allegro vivace) · Wiener Philharmoniker · Valery Gergiev (Released on:1999-01-01)
Doveva essere migliore degli altri il nostro ventesimo secolo. Non farà più in tempo a dimostrarlo, ha gli anni contati, il passo malfermo, il fiato corto.
Sono ormai successe troppe cose che non dovevano succedere, e quel che doveva arrivare non è arrivato.
Ci si doveva avviare verso la primavera e la felicità, tra l’altro.
La paura doveva abbandonare i monti e le valli. La verità doveva raggiungere la meta prima della menzogna.
Alcune sciagure non dovevano più accadere, ad esempio la guerra e la fame, e così via.
Doveva essere rispettata l’inermità degli inermi, la fiducia e via dicendo.
Chi voleva gioire del mondo si trova di fronte a un’impresa impossibile.
La stupidità non è ridicola. La saggezza non è allegra. La speranza non è più quella giovane ragazza et cetera, purtroppo.
Dio doveva finalmente credere nell’uomo buono e forte, ma il buono e il forte restano due esseri distinti.
Come vivere? – mi ha scritto qualcuno a cui io intendevo fare la stessa domanda.
Da capo, e allo stesso modo di sempre, come si è visto sopra, non ci sono domande più pressanti delle domande ingenue.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
The Century’s Decline
Our twentieth century was going to improve on the others. It will never prove it now, now that its years are numbered, its gait is shaky, its breath is short.
Too many things have happened that weren’t supposed to happen, and what was supposed to come about has not.
Happiness and spring, among other things, were supposed to be getting closer.
Fear was expected to leave the mountains and the valleys. Truth was supposed to hit home before a lie.
A couple of problems weren’t going to come up anymore: humger, for example, and war, and so forth.
There was going to be respect for helpless people’s helplessness, trust, that kind of stuff.
Anyone who planned to enjoy the world is now faced with a hopeless task.
Stupidity isn’t funny. Wisdom isn’t gay. Hope isn’t that young girl anymore, et cetera, alas.
God was finally going to believe in a man both good and strong, but good and strong are still two different men.
“How should we live?” someone asked me in a letter. I had meant to ask him the same question.
Again, and as ever, as may be seen above, the most pressing questions are naïve ones.
(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)
Comincia a cadere una pioggia incessante. Nell’arca, e dove mai potreste andare: voi, poesie per una sola voce, slanci privati, talenti non indispensabili, curiosità superflua, afflizioni e paure di modesta portata, e tu, voglia di guardare le cose da sei lati.
I fiumi s’ingrossano e straripano. Nell’arca: voi, chiaroscuri e semitoni, voi, capricci, ornamenti e dettagli, stupide eccezioni, segni dimenticati, innumerevoli varianti del grigio, il gioco per il gioco, e tu, lacrima del riso.
A perdita d’occhio, acqua e l’orizzonte nella nebbia. Nell’arca: piani per il lontano futuro, gioia per le differenze, ammirazione per i migliori, scelta non limitata a uno dei due, scrupoli antiquati, tempo per riflettere, e tu, fede che tutto ciò un giorno potrà ancora servire.
Per riguardo ai bambini che continuiamo ad essere, le favole sono a lieto fine.
Anche qui non c’è altro finale che si addica. Smetterà di piovere, caleranno le onde, nel cielo rischiarato si apriranno le nuvole e saranno di nuovo come si addiceva alle nuvole sugli uomini: elevate e leggere nel loro somigliare a isole felici, pecorelle, cavolfiori e pannolini – che si asciugano al sole.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
Into the Ark
An endless rain is just beginning. Into the ark, for where else can you go, you poems for a single voice, private exultations, unnecessary talents, surplus curiosity, short-range sorrows and fears, eagerness to see things from all six sides.
Rivers are swelling and bursting their banks. Into the ark, all you chiaroscuros and half-tones, you details, ornaments, and whims, silly exceptions, forgotten signs, countless shades of the color gray, play for play’s sake, and tears of mirth.
As far as the eye can see, there’s water and hazy horizon. Into the ark, plans for the distant future, joy in difference, admiration for the better man, choice not narrowed down to one of two, outworn scruples, time to think it over, and belief that all this will come in handy someday.
For the sake of the children that we still are, fairy tales have happy endings. That’s the only finale that will do here, too. The rain will stop, the waves will subside, the clouds will part in the cleared up sky, and they’ll be once more what clouds ought to be: lofty and rather lighthearted in their likeness to things drying in the sun— isles of bliss, lambs, cauliflowers, diapers.
(Translated from Polish by Stanislaw Baranczak and Clare Cavanagh)
Donna, come ti chiami? – Non lo so. Quando sei nata, da dove vieni? – Non lo so. Perche’ ti sei scavata una tana sottoterra? – Non lo so. Da quando ti nascondi qui? – Non lo so. Perché mi hai morso la mano? – Non lo so. Sai che non ti faremo del male? – Non lo so. Da che parte stai? – Non lo so. Ora c’è la guerra, devi scegliere. – Non lo so. Il tuo villaggio esiste ancora? – Non lo so. Questi sono i tuoi figli? – Sì.
(Traduzione di Pietro Marchesani)
Vietnam
“Woman, what’s your name?” “I don’t know.” “How old are you? Where are you from?” “I don’t know.” “Why did you dig that burrow?” “I don’t know.” “How long have you been hiding?” “I don’t know.” “Why did you bite my finger?” “I don’t know.” “Don’t you know that we won’t hurt you?” “I don’t know.” “Whose side are you on?” “I don’t know.” “This is war, you’ve got to choose.” “I don’t know.” “Does your village still exist?” “I don’t know.” “Are those your children?” “Yes.”
E’ un’intensa poesia sulla guerra in Vietnam e sul potere dell’amore materno. Un dialogo tra soldati e una donna traumatizzata che gli shock della guerra hanno gettato in “modalità sopravvivenza”. Il suo senso di sé è crollato insieme alla sua società: non sa come si chiama, chi sono questi uomini, da quanto tempo si è rifugiata in una tana o da che parte sta la guerra. Tutto quello che sa è che ha i suoi figli.